Roma - «Un comportamento illegittimo». Con queste tre parole il pm della Procura di Roma, Angelantonio Racanelli, ha definito l’atteggiamento del viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco, nei confronti dell’ex comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, e finalizzato al trasferimento dei vertici delle Fiamme gialle di Milano e della Lombardia. Ovvero di coloro che nell’estate 2006 stavano ancora indagando sul caso Unipol-Bnl.
Tuttavia, secondo il magistrato, non sussistono profili penali e, per questo motivo, Racanelli, insieme con il procuratore Giovanni Ferrara, ha chiesto l’archiviazione del procedimento nei confronti di Visco. Sarà comunque il giudice per le indagini preliminari a dover prendere la decisione definitiva sulle ipotesi di reato ascritte all’esponente diessino: minacce e abuso d’ufficio.
Eppure la censura nei confronti di quelle che Speciale definì «pressioni indebite» è molto forte e percorre tutte le tredici pagine del provvedimento. Si fa riferimento anche alla posizione tenuta dal ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, che è oggetto di un altro procedimento per diffamazione aperto su querela di Speciale e attualmente al vaglio del Tribunale dei ministri. D’altronde, nel corso della fase istruttoria che si è conclusa lo scorso agosto, oltre alla deposizione spontanea di Visco, sono state raccolte le testimonianze di quasi tutti gli attori in campo: a partire da Speciale (poi sostituito nello scorso giugno, ndr) passando per i generali della Gdf Pappa, Favaro e Spaziante.
A Piazzale Clodio, quindi, la magistratura inquirente si è costruita una rappresentazione chiara del clima «pesante» del luglio 2006 quando Visco cercò in molti modi di convincere Speciale a rimuovere il comandante generale della Lombardia generale Forchetti e i colonnelli Lorusso, Pomponi e Tomei. Ma la pubblicazione della notizia e la preoccupazione della Procura di Milano per la rimozione dei preziosi collaboratori nelle indagini sulla scalata Bnl convinsero Visco a desistere.
E proprio quella desistenza, secondo quanto ha scritto Racanelli, a far venire meno «il dolo di danno» per sostenere l’ipotesi di abuso d’ufficio. Insomma, non essendosi verificato l’evento per il quale il viceministro era chiamato a rispondere (la sostituzione dei vertici poi rinviata, ndr), i magistrati non hanno chiesto il rinvio a giudizio bensì l’archiviazione.
L’articolo 323 del codice penale che riguarda l’abuso d’ufficio, rivisto in senso garantista nel 1997 dopo gli eccessi di Tangentopoli, non sanziona infatti la semplice condotta commissiva del pubblico ufficiale che viola norme di legge o di regolamento, ma solo la conseguenza, il prodotto di tale condotta. La mancanza del nesso causa-effetto non ha tuttavia impedito a Racanelli e Ferrara di mettere in evidenza la condotta illegittima del viceministro nonché il ruolo del titolare del dicastero di Via XX settembre.
L’attesa per la notifica del provvedimento, oltre che per il responso del Gip, ha indotto gli avvocati di Visco e di Speciale alla cautela. Secondo Guido Calvi, penalista e senatore diessino difensore del collega di partito, è «una decisione saggia ed equilibrata frutto del rigore professionale dei magistrati ma bisogna comunque leggere le motivazioni». Idem per il legale dell’ex numero uno della Gdf, Ugo Longo: «Prima delle motivazioni nessun parere può essere fornito».
Adesso comunque rimangono altri due fronti aperti. In primis, quello relativo a Padoa-Schioppa, querelato da Speciale per la durezza del ministro al Senato nei suoi confronti il 6 giugno scorso. In seconda istanza, la causa amministrativa al Tar del Lazio al quale l’ex militare si è rivolto per chiedere un risarcimento di 5 milioni di euro per la sua revoca.
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