Politica

«Spesa delle Regioni in continuo aumento»

L’allarme della Corte dei conti: nel 2004 costi saliti del 5,4% rispetto al 2003. Il peggioramento ha prodotto un indebitamento di 650 milioni di euro

Antonio Signorini

da Roma

La spesa delle amministrazioni locali continua ad aumentare. E nemmeno il Patto di stabilità interno - una sorta di Maastricht che impegna gli enti decentrati a contribuire al contenimento del deficit - è sufficiente a imbrigliarla. L’ultimo allarme della Corte dei conti sulle finanze locali è di pochi giorni fa. Già nel rendiconto 2004, i giudici contabili avevano acceso la spia rossa sull’esplosione della spesa corrente di regioni, province e comuni. Complessivamente nel 2004 le spese delle amministrazioni locali sono cresciute del 7,8 per cento rispetto all’anno precedente, contro il 3,8 per cento registrato nel 2003 sul 2002. Questo, mentre nell’amministrazione centrale dello Stato la crescita è stata limitata al 3,3 per cento.
Con un più recente referto, la Corte si è concentrata sulla finanza delle regioni, confermando il quadro di una spesa fuori controllo. Complessivamente nel 2004 i governatori hanno speso il 5,4 per cento in più rispetto al 2003. Un peggioramento che si è tradotto in un indebitamento per 650 milioni di euro contro un accreditamento netto di 3,2 miliardi registrato nel 2003. L’andamento dei conti regionali va di pari passo con la spesa sanitaria: l’indebitamento delle Asl nel 2004 è più che raddoppiato portandosi a 5,7 miliardi.
Il paradosso è che i meccanismi di controllo sulla spesa sembrano funzionare. Il monitoraggio sul Patto di stabilità interno ha dato per il 2004 un risultato positivo, con un pieno rispetto degli obiettivi di spesa da parte delle regioni. La spiegazione è che «sono le categorie di spesa non soggette al Patto ad avere evidenziato l’incremento maggiore». Nel complesso - spiegano i giudici - tra il 2000 e il 2004 la spesa corrente è aumentata del 24 per cento soprattutto a causa di una sanità sempre più onerosa (il 26,8 per cento di aumento nello stesso intervallo di tempo), ma anche per il peso di altre spese obbligate o comunque più «rigide» come quelle per il personale. Ai dipendenti regionali va il 17 per cento delle spese non destinate alla sanità (il 24 per cento al sud). In un anno la spesa per il personale delle regioni (comprese quelle a statuto speciale e le due provincie autonome) è cresciuta dell’11 per cento portandosi da 4,9 a 5,5 miliardi di euro. Il tutto per pagare dipendenti pubblici distribuiti in modo disomogeneo nel territorio italiano, con le regioni meridionali che vantano un numero di occupati per mille abitanti di 1,67, contro i 0,67 del nord e i 0,90 del centro.
«È interessante - commenta il viceministro dell’Economia Giuseppe Vegas - valutare anche differenza del costo lavoro dei vari comparti della pubblica amministrazione. Quelli delle regioni, insieme a quelli degli enti previdenziali, hanno un costo unitario più alto. Sarebbe opportuno rendere più omogeneo questo dato». L’aumento delle spese, sottolinea Vegas, è anche il riflesso dell’aumento delle funzioni che sono diventate di competenza delle regioni. E quindi è giustificato. Quello che il viceministro non accetta è che in una situazione del genere ci sia chi - come molti dei governatori di centrosinistra eletti all’ultima tornata elettorale - «promettono di non chiudere i piccoli ospedali e annunciano l’eliminazione de i ticket regionali. Sono impegni che non rispecchiano la realtà e si scontreranno con la determinazione del governo a esercitare tutti i suoi poteri, compresa la nomina dei commissari».
I magistrati danno conto anche dell’aumento del debito pubblico regionale. La situazione è la stessa descritta in una recente audizione parlamentare: le regioni fanno sempre più ricorso all’indebitamento per fare fronte alle spese crescenti. Tra il 2000 e il 2004 il debito delle regioni è cresciuto del 67 per cento. Cambia anche il modo di indebitarsi. Prima le regioni ricorrevano quasi esclusivamente a mutui a tasso fisso con la Cassa depositi. Ora la preferenza è per prestiti obbligazionari a tasso variabile. Strumenti più flessibili, ma anche più pericolosi perché soggetti all’andamento dei mercati finanziari. Le regioni stanno comunque usufruendo ampiamente della possibilità di emettere bond, che ormai rappresentano il 37 per cento del debito complessivo contro l’11 per cento del 200.
In generale, secondo la Corte dei conti, sulla gestione delle finanze delle regioni pesa l’incertezza legata alla mancata approvazione del federalismo fiscale. Manca insomma quella «responsabilizzazione» che solo la riforma per il federalismo amministrativo, con il decollo della fiscalità locale, può portare.

Manca quella riforma, cioè, che il ministro della Sanità Francesco Storace, in un’intervista al Giornale, ha proposto di congelare per farne la bandiera della Casa delle libertà alle prossime elezioni politiche.

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