Cultura e Spettacoli

"A 80 anni ho ancora voglia di sperimentare"

Classe 1941, il grande jazzista racconta i suoi inizi, i tempi del Perigeo e i progetti post virus

"A 80 anni ho ancora voglia di sperimentare"

Ottant'anni e non sentirli, pianificando anche nuove e originali avventure musicali con personaggi come DJ Rocca. È questo il pianista Franco D'Andrea, gloria del jazz italiano e internazionale che, partito da Merano, si è affermato in tutto il mondo sia come solista che come band leader alla guida di formazioni storiche del jazz rock come Perigeo.

D'Andrea, come ci si sente a 80 anni?

«Arrivarci è un bel colpo. Ho molta voglia di suonare e di produrre, sono un ragazzino di 80 anni anche perché sono stato molto prudente nella mia vita».

Niente vita alla Chet Baker dunque?

«No, non sono un maledetto e non mi sono mai drogato, anche se ho avuto, per motivi di salute, qualche momento difficile».

Quali sono le sue radici musicali?

«Sono nato a Merano, nella profonda provincia del Nord, e lì ascoltavo dal vivo le band austriache di jazz tradizionale. Ricordo quella del sax tenore Mark Trewo che negli anni '50 aveva al pianoforte Joe Zawinul. Chi avrebbe immaginato che poi ci saremmo incontrati nei territori della fusion!».

Quindi è partito subito con il jazz?

«Prima ho suonato gli strumenti a fiato, ma in casa c'era il pianoforte di mia mamma e mi misi a studiarlo. Poi interruppi e dissi il jazz, che musica strana, voglio suonarlo, e cominciai a farlo a orecchio, da autodidatta».

E poi?

«Nel 1963, a 22 anni, grazie al contrabbassista Maurizio Maiorana, debuttai a Bologna nella band di Nunzio Rotondo, che allora andava per la maggiore. Intanto ascoltavo un sacco di dischi vecchi che purtroppo non erano ben registrati. Erano incisi molto bene invece quelli di jazz californiano della Contemporary, quelli di Frank Sinatra che aveva dei fonici fantastici, e quelli della Blue Note curati dal mitico Rudy Van Gelder».

Poi Gato Barbieri...

«Gato suonava nella scia di John Coltrane ma ha anticipato Coltrane con i suoni modali. Gato suonava il sax alla Tommy Flanagan, un post bop molto creativo. Me ne resi conto durante una jam session a casa di Lelio Luttazzi. Gato suonava un blues in DO minore e io i miei accordi che erano tutta un'altra cosa. Fu una incredibile serata di improvvisazione. Per molti di noi suonare con Gato è stato come andare all'università. Suonammo da ottobre ad aprile 1964 nella dépendance del ristorante Meo Patacca che si chiamava Purgatorio, e con noi c'erano personaggi del calibro di Enrico Rava, che ancora oggi è un mio grande amico e ha la mia età».

Lei si è fatto conoscere dal grande pubblico con il jazz rock del Perigeo.

«Sì, non si poteva rimanere insensibili alla strada aperta dallo stregone elettrico Miles Davis con album quali Bitches Brew. Curioso per natura, mi buttai subito su quei suoni. Poi successe un incidente che fece la nostra fortuna».

Cioè?

«Ci presero per fare da spalla al tour europeo dei Weather Report. La prima sera al Concertgebouw di Amsterdam il pubblico era tutto per la band americana; poi ad Amburgo abbiamo fatto un concerto strepitoso e un momento di gloria. Due giorni dopo, mentre viaggiavamo alla volta di Parigi, sentimmo Joe Zawinul dire al manager: questo non è un gruppo di spalla, io questi non li voglio. Così fummo licenziati, ma la nostra parabola era cominciata. Dal Perigeo emanava un'energia molto forte e riuscivamo a catturare sia il pubblico del jazz che quello del rock. Poi mi sono ammalato, una strana malattia... Mi si ingrossò l'esofago, fu uno dei periodi più brutti della mia vita».

Difficile stare dietro a tutte le formazioni che ha creato e a tutte le collaborazioni che ha messo in piedi.

«Dopo la malattia, da Roma mi trasferii a Milano per cominciare una nuova vita. Grazie a Sergio Veschi della Red Records incisi due album per piano solo. Fu una sfida. Mi dicevano: sei famoso perché sei un grande accompagnatore, così registrai da solo Dialogues with super ego/Es, due titoli mutuati dal linguaggio psicoanalitico di Freud, e così sono partito suonando con la massima libertà. Il primo disco partendo dal cervello, il secondo dal cuore. Il piano solo per me è sempre come entrare in un territorio sconosciuto. Poi ci sono i miei gruppi, la mia musica, quella con Tracanna, Cazzola e Zanchi, quella del nonetto e quella dei New Things, un trio strano con cui mi esibisco ora. Ma ho tanti progetti».

Ad esempio?

«Appena finirà la pandemia vorrei fare qualcosa con un gruppo friulano con cui ho già suonato, in cui milita un superman come Mirko Cisilino, e voglio lavorare col mio amico DJ Rocca, un artista molto diverso da me ma per questo molto stimolante».

Il più bel regalo di compleanno?

«La mia biografia, Un ritratto, scritta per EDT da Flavio Caprera».

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