Il gelo della critica, gli applausi del pubblico. Il grande Gatsby di Baz Luhrmann non convince gli addetti ai lavori, ma è facile prevedere che sarà un successo ai botteghini. Mette insieme un cast di tutto rispetto (Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton, Isla Fisher, Jason Clarke), non bada a spese quanto a scene, costumi, movimenti di massa, effetti speciali grazie all'uso del 3D, ma l'insieme è come un gigantesco soufflé che continua a lievitare ma non trova mai consistenza. Se c'era una cosa che il romanzo di Fitzgerald aveva, era la capacità di alludere, il far percepire ciò che restava nascosto: qui è l'esatto contrario, e quando il kitsch prende il sopravvento sulla magia data dall'illusione, si confondono i piani e non resta che rimpiangere un'occasione perduta.
Disse una volta Hemingway del suo amico e rivale, che il suo talento «era come le ali di una farfalla», delicato, naturale e impalpabile. Romanzo di amore e di morte, decadenza e possesso, sogno scambiato pervicacemente per realtà, Il grande Gastby è anche lo straordinario affresco di un'epoca, quella degli anni Venti, quando New York sembrava essere il centro del mondo: «Il ritmo della città era mutato. I palazzi erano più alti, le feste più lussuose, i costumi rilassati e l'alcol a buon mercato. L'agitazione era prossima all'isteria». Quel decennio si chiuderà con il crollo di Wall Street e l'inizio di quella Grande depressione da cui gli Stati Uniti usciranno solo con la Seconda guerra mondiale.
Tutto ciò Luhrmann prova a raccontarlo nella forma più vistosa e colorata possibile, con un occhio anche al presente, accentuato dalla scelta di una colonna sonora hip hop, cavalcando insomma una lettura moderna pur nel suo volere restare fedele all'originale. Ma è come se la cornice si mangiasse lo spazio del dipinto e ci vuole una buona mezz'ora prima che si entri nel vivo della storia, e altri 100 minuti perché si arrivi al suo epilogo. Troppo, un po' troppo di tutto.
Una delle chiavi di lettura di questo eccesso può essere data dal fatto che il primo incontro con la storia narrata da Fitzgerlad, il regista l'ha avuto sullo schermo, non sulla pagina. Nel 1974, appena dodicenne, vide infatti nel cinema gestito dal padre il film che aveva Robert Redford come protagonista. È quello il Gatsby più celebre dei tre che furono tratti dal romanzo, e forse, se avesse guardato anche quello interpretato con malinconica dignità da Alan Ladd, avrebbe evitato a DiCaprio il rischio, sempre in agguato e non sempre evitato, di essere un clone di chi l'aveva preceduto. Anni dopo, nel 2004, terminate le riprese di Moulin Rouge!, Luhrmann si ritrovò fra le mani una versione audio del romanzo durante un viaggio in Transiberiana. «Ho capito allora che in realtà non lo conoscevo affatto, che si trattava di una storia molto concisa e che si prestava benissimo a un adattamento cinematografico». Durante le riprese, racconta un po' piccato, DiCaprio gli chiedeva se «stavamo girando una pellicola all'altezza del libro. La cosa mi irritava e insieme mi stimolava». A differenza sua, l'attore lo aveva letto negli anni del liceo e ne era rimasto affascinato. «L'ho ripreso in mano per il film e resto dell'idea che incarni il sogno americano, divenire quello che vorremmo essere... Jay Gatsby è un incorreggibile romantico, ma anche qualcuno che cerca di colmare, attraverso l'idealizzazione di un sentimento amoroso, il vuoto inesorabile della sua esistenza. Non ha amici, non ha una famiglia, non ha un passato».
Inventore e cantore dell'età del jazz, Fitzgerald mise in quest'opera molti elementi autobiografici, a partire dal suo rapporto con la moglie Zelda, ovvero la storia «di un giovane straordinariamente ottimista che vede tutti i suoi valori andare in pezzi, ma troppo tardi per poter reagire». Tutto ciò, secondo Luhrmann contribuisce alla creazione di una vicenda «coinvolgente e moderna. Mette in scena personaggi di grande complessità, emozioni forti, la forza dell'amore, l'onnipotenza del denaro». Carey Mulligan (già candidata all'Oscar per Un'educazione, protagonista, con Michael Fassbender di Shame, e con Ryan Gosling di Drive) è Daisy Buchanan, il sogno e la dannazione di Gatsby. «Una donna in questa società non può aspirare ad altro che a essere un'affascinante idiota» le fa dire Fitzgerald. «Ciò che la caratterizza -spiega Carey- è il suo dualismo. Vuole la sicurezza e però anche il grande amore. Non è mai concreta e non è mai completamente sincera. È una sorta di gioiello prezioso e unico, come se vivesse in un film che mette in scena la sua vita».
Sbarcato a Cannes con grande dispiego di forze e il cast al completo (c'è anche un cameo di Amitabh Bachchan, divo di quella cinematografia indiana festeggiata quest'anno dal Festival), la sola brochure del film per la stampa è di 50 pagine. Troppe, anche queste.
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