Mentre il dominio cinematografico Marvel profila uno scontro al calor bianco tra Batman e Superman e la Warner promette un kolossal fracassone tra due anni, Batman vs. Superman, arriva da noi un film documentario meravigliosamente tricolore. Dove tutto parla d'una creatività italiana così all'avanguardia, nel campo del fumetto, da poter figurare come portabandiera del filone pulp internazionale. Così Noi, Zagor, docu-evento scritto e diretto dal pratese Riccardo Jacopino e dedicato al personaggio creato nel 1961 da Sergio Bonelli (alias Guido Nolitta) e da Gallieno Ferri, intanto s'appoggia agli 80mila fan in tutta Italia: un piccolo miracolo editoriale, realizzato dalla più grande factory di fumetti europea. Ma ce ne sono, di seguaci del «Re di Darkwood», sparsi anche in Brasile, Croazia, Serbia, Spagna e Turchia. E peccato che quest'eroe dai muscoli solidi come la propria morale, esclusivamente rivolta alla difesa dei più deboli, sia di scena in un centinaio di sale (distribuisce Microcinema) solo il 22 e il 23 ottobre. Ma almeno tale mito dei comics, che nella mano destra stringe un'ascia indiana dalla punta arrotondata e con la mano sinistra impugna il revolver, dopo cinquant'anni di esistenza si fa vivo sul grande schermo. E profumano di carta, matita e avventura i 70 minuti del docufilm rivolto al popolo zagoriano, mentre critici e disegnatori, fan e sceneggiatori, ma anche musicisti e filosofi - c'è Giulio Giorello che sospira: «Zagor è un compagno di vita» - narrano l'evoluzione di Zagor-te-nay, ovvero «Lo spirito con la Scure» come si chiama il personaggio in dialetto indiano-algonchino.
Già, perché questo tarzanide che cavalca nel selvaggio West dell'Ottocento americano, o pilota un sottomarino anacronistico in avventure non soltanto western, ha molto a che fare con gli indiani d'America. Sono stati i pellerossa, infatti, ad ammazzargli, sotto gli occhi bambini, padre e madre. Così lui, orfano dell'ufficiale Patrick Wilding, giura vendetta e si rifugia da Wandering Fitzy, filosofo errante che gli farà da tutore. Ma una scoperta cambierà il corso della vita di Zagor: suo padre fu un massacratore di indiani, vittima e carnefice al tempo stesso. Dopo la dolorosa agnizione dell'impossibilità di distinguere Bene e Male in modo netto, l'eroe deciderà di schierarsi, comunque, sempre dalla parte degli oppressi.
Zagor, allora, non è soltanto un fumetto, ma un universo e uno stile di vita al quale si viene introdotti man mano che creatori e fruitori del mito raccontano una parte della storia. Già il titolo, Noi, Zagor, rimanda a un'ideale comunità d'intenti e alla condivisione dell'eroismo feriale che promana da chiunque ami duellare con l'esistente. Non male, se consideriamo che gli allora trentenni Bonelli e Ferri crearono il personaggio quando ancora non s'era definitivamente incistato, nel cosiddetto immaginario collettivo, il concetto della complessa molteplicità del reale.
«Raccontare Zagor è stato come tener fede a una promessa fatta. Ho un solo rimpianto: non aver fatto in tempo a conoscere e a intervistare il grande Sergio Bonelli, per esprimergli gratitudine», dice Jacopino, che ci fa entrare nelle case dei disegnatori, direttamente sul loro tavolo da lavoro. Il suo documentario cerca di capire le ragioni d'un successo così longevo e il processo creativo alla sua base.
Forse perché Zagor è fumetto che racchiude molti generi narrativi (e ciò spiace ai fan più talebani), dopo aver fuso i generi più «poveri» in una ricetta segreta come la Coca-Cola. O magari perché c'è bisogno di eroi in maglietta, con l'Uccello del Tuono sopra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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