Addio a Luciano Rispoli l'amico garbato della tv senza chiasso

Condusse «Tappeto volante» e «Parola mia» Lanciò tanti personaggi, da Costanzo alla Carrà

Addio a Luciano Rispoli l'amico garbato della tv senza chiasso

Il tempo solitamente corre. Ma in tv addirittura vola. A giudicarlo dal garbo e dalla discrezione, lo stile televisivo di Luciano Rispoli sembra riportarci al galateo del secolo passato. Sia detto senza ironia; con nostalgica ammirazione, anzi. Chi potrebbe immaginarselo, nella tv dello strepito programmato e della volgarità tracimante, un vero signore come lui? Dentro l'aggressivo elettrodomestico d'oggi, in cui tutto si consuma e si getta via, i modi beneducati del felpato conduttore di Parola mia o di Tappeto volante sembrerebbero quelli di un marziano. Eppure hanno lasciato una traccia ben precisa: se non nell'ingrata memoria della Rai (presso le cui fila Rispoli militò ininterrottamente dal 1954, dopo un provino radiofonico, fino al 1987, e dalla quale - lamenta il suo collaboratore Mariano Sabatini- «era stato poi dimenticato, con suo grandissimo rammarico») certamente in quella dei telespettatori più maturi, che in «zio Luciano» - così l'appellò un giorno Rita Forte; e così fu per tutti, negli ultimi vent'anni - riconoscevano l'amabile finezza e l'ironia sorniona di tutta una generazione di conduttori-amici di famiglia. Le stesse di un Corrado, del quale possedeva in misura meno feroce - il caustico umorismo; o di un Enzo Tortora, col quale condivideva, ma senza certe affettazioni, la stessa cerimoniosità. Perché la scuola a cui Rispoli aveva imparato a fare tv era quella della buona educazione. Che per quelli come lui si badi bene - non consisteva solo nell'accurata scelta dell'aggettivo giusto o del congiuntivo esatto. Era piuttosto la profonda civiltà del conduttore che rispetta le opinioni dei suoi ospiti, senza sovrapporvi la propria; la delicatezza del giornalista che indaga i temi più scabrosi senza mai strumentalizzarli; l'umorismo con cui ammorbidiva la curiosità (doverosa in un intervistatore, malvista dall'intervistato) attorno alle questioni più discusse. E tutto questo noblesse oblige - con la leggerezza di chi maneggia la sensibilità del telespettatore come farebbe con le proprie. Con i guanti bianchi.

Il timbro cordiale della voce ne aveva fatto, da subito, un personaggio radiofonico: condivise la creazione della storica Bandiera gialla (suo il titolo), del mitico Chiamate Roma 3131, primo esempio di programma con le telefonate in diretta da casa, nonché della leggendaria Corrida di Corrado. In quanto responsabile del settore varietà fu lui a lanciare (anche se non tutti gli interessati mostrarono poi di ricordarsene) star come Maurizio Costanzo, Raffaella Carrà, Paolo Villaggio, Paolo Limiti. Inevitabile che approdasse anche al video: memorabile il suo Ospite delle due, primissimo esperimento (come ammetterà lo stesso Costanzo, che del genere è ritenuto l'inventore) di talk show televisivo. Nei lunghi pomeriggi dell'austerity anni '70 Rispoli amabilmente riceveva indagando senza parere - ospiti del calibro di Ingrid Bergman, che stupefatta ne lodò «la gentilezza che l'aveva spinta a dire di sé cose mai dette», o del compositore Armando Trovajoli, che ammise «di essersi sbottonato con lui più che con sua moglie». Ma almeno altri due titoli meritano di annoverare «zio Luciano» nell'enciclopedia della tv: Parola mia (tra i primissimi preserali Rai, dall'85 all'88) e Tappeto volante (negli anni '90 su Telemontecarlo). Il primo fu un esemplare format di «tv di servizio»: la lingua italiana divulgata col salace aiuto del linguista Gian Luigi Beccaria. E il secondo un esempio d'inossidabile «salotto delle buone maniere», nel quale la conduzione, se si vuole ormai piuttosto agéecondivisa dalle aristocratiche Melba Ruffo di Calabria, Samantha De Grenet, Roberta Capua e Michela Rocco di Torrepadula - perpetuava però il garbo, proverbiale perché ormai rimasto unico, del suo conduttore. Negli ultimi anni un altro elemento caratterizzò il personaggio Rispoli: l'imitazione che della sua voce sempre più adenoidale facevano Fabio Fazio, Neri Marcorè, Mario Zamma e Max Tortora. Senza che l'interessato se ne adombrasse, beninteso. Da esperto comunicatore sapeva che anche quello era un segno di popolarità.

Quando infine compì 80 anni dovettero impiantargli un pacemaker. «Non funziona mai bene confessò lui, scoraggiato - tranne che quando si accende la spia rossa delle telecamera. Allora anche la sua frequenza diventa perfetta».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica