Cultura e Spettacoli

Addio a Yamamoto. Il re dei colori che ha vestito il rock

La leucemia stronca lo stilista giapponese che vestì anche lo "Ziggy" di David Bowie

Addio a Yamamoto. Il re dei colori che ha vestito il rock

Ricordando il loro flirt, Amanda Lear diceva di lui: «È stata l'unica volta in vita mia, in cui sono uscita con un tipo più truccato di me». Non sappiamo chi truccasse David Bowie, ma di certo sappiamo chi l'ha vestito. Lo stilista Kansai Yamamoto, un folletto giapponese, energico e avanguardista, che il 21 luglio, a 76 anni, «ha lasciato questa vita in pace», come ha fatto sapere la figlia Mirai, attrice, salutandolo in un post. La leucemia aveva iniziato ad avvelenargli il sangue lo scorso febbraio e ieri ha finito di consumarlo. Cinque mesi per sfogliare la propria vita e scegliere i ricordi. C'era di sicuro David Bowie, tra i suoi, del quale aveva sposato con entusiasmo l'estetica e quel trascendere i confini di genere. Una delle sfide migliori della sua vita, una delle più adatte al suo vibrare, al suo sperimentare, al suo sentirsi a proprio agio in compagnia dei colori. Si sbizzarrì con Ziggy Stardust, il personaggio del cantante inglese: quella tuta nera a gamba larga tipica dei samurai e ispirata ad una leggenda giapponese che descriveva il rapporto tra una divinità e un coniglio dal colore bianco intenso. La «Tokyo Pop» realizzata in vinile nel 1973 per l'Aladdin Sane Tour di Bowie, indossata durante il concerto del 10 marzo 1973 alla Long Beach Arena di Los Angeles e poi di nuovo nel 1989 per un servizio fotografico di Herb Ritts. Inserì allora il primo tocco androgino alla mise, e poi conservò la caratteristica nelle altre sue creazioni.

E poi gli abiti per Elton John, John Lennon e Stevie Wonder, e spettacolari show e performance in tutto il mondo, come «Hello! Russia» del 1993, nella Piazza Rossa di Mosca, che richiamò 120mila spettatori, e negli ultimi anni anche una collaborazione con Louis Vuitton, per la quale attinse al teatro Kabuki. E poi Parigi, e New York...

Fu il primo artista nipponico a presentare una collezione personale a Londra, nel 1971, a soli 27 anni. Di lui, la figlia Mirai, scrive ancora: «Ai miei occhi, mio padre non era solo l'anima eclettica ed energica che il mondo conosceva, ma anche una persona premurosa, gentile e affettuosa. Mi ha inondato di amore per tutta la vita. Mi ha anche insegnato a persistere dopo i fallimenti e a non lasciar andare mai via la mentalità positiva e lungimirante. Considerava le sfide come opportunità di auto-sviluppo e credeva sempre nei giorni più luminosi a venire». Un visionario colorato, coloratissimo, dall'estetica audace. Aveva una passione per i signori della guerra medievale giapponesi e a loro, in qualche modo, continuava ad ispirarsi. Oro, fucsia e materiali sperimentali. Bowie aveva trovato il connubio perfetto e di lui diceva: «Ha una faccia insolita, non credi? Non sembra né uomo né donna. Capisci cosa intendo? Come stilista rappresenta il mio ideale, perché la maggior parte dei miei vestiti sono per entrambi i sessi. Amo la sua musica e ovviamente questo ha influenzato i miei progetti ma soprattutto c'è un'aura di fantasia che lo circonda. Ha fascino».

Se n'è andato in pace dopo aver vissuto e aver misurato se stesso. Dopo essersi trovato: «Uno come me è destinato a distinguersi in Giappone», ha detto in un'intervista del 2017 al gruppo Nikkei. E la vita gli ha dato ragione. Anche mentre la sua faccia stropicciata moriva nell'ospedale di Tokyo in cui era ricoverato, «circondato dalle persone care». Ce ne si può andare tranquilli, quando si sa di aver colorato il mondo. Imbrigliato il genio più recalcitrante e inafferrabile della storia del pop e del rock mondiali. Yamamoto ha capito, e vestito, tutti i David che c'erano in Bowie.

Un moderno guerriero visionario che, con i tessuti, ha cucito la sua colorata, morbida rivoluzione.

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