«Ne ho fatte di tutti i colori», dice Enrico Lucherini, lo «stress-agent» che negli anni Cinquanta inventò il mestiere di promotore cinematografico. E adesso, un docufilm di Marco Spagnoli (il 23 al festival di Roma e il 31 su Sky Arte), intitolato proprio così, ripercorre ogni sua bufala inventata, ogni contesto, tutti i divi d'un cinema ormai scomparso. Ne parliamo con lui, nella sua quieta casa-studio ai Parioli, zeppa di bei quadri della Scuola Romana e di care memorie. Come l'agenda nera sulla quale, a 15 anni, Lucherini, classe 1932, comincia ad attaccare ritagli di giornale, colorando i flani e scrivendo un giudizio accanto ai titoli dei film.
Perché il cinema italiano d'oggi è così mediocre?
«Mancano le sceneggiature. Per questo la gente sta a casa e guarda la Incontrada in tv».
Sarà anche che mancano i bravi attori?
«Lo stardom è finito: gli attori oggi non sono né belli, né bravi. Ricordo il vitino da vespa di Sofia Loren e Silvana Mangano. Le attrici contemporanee non presentano bellezza fisica: sono piatte, somigliano ai maschi. Né sanno recitare. Un tempo dovevo uscire di casa perché arrivava Gassman nell' Amleto , o c'era il nuovo film di Sordi. Oggi vado al ristorante».
Ma La grande bellezza?
«Dopo averlo visto, sono tornato a casa e, per risarcirmi, ho messo il dvd della Dolce vita : quello, sì. E poi, circola troppa volgarità. Come quella di Ruffini al David di Donatello, messo lì a parlare della Loren o di Scola, che neanche conosce».
Quali le lucherinate più divertenti?
«Un vero ghepardo al Lido, per lanciare Il Gattopardo , con la Cardinale che lo portava al guinzaglio. Antonella Lualdi buttata nella fontana del Gianicolo. E non dimentico Sylva Koscina, che a Via Veneto ebbe uno scontro tremendo con l'automobile. Preoccupato, le chiesi: Sylva, chiamo l'ambulanza?. E lei: Sei matto? Chiama i fotografi!».
Adesso come si lanciano i film?
«Tra photo call e radio call e round table non c'è tempo per la fantasia. È tutto programmato e di corsa. Io lanciavo un film dal primo giorno di lavorazione, sul set. Qua, si comincia dieci giorni prima che vada in sala. E ti devi sbrigare, se no il film sparisce».
Come ha capito che avrebbe fatto il press-agent?
«Nel '39, per colpa di mio padre, un medico che voleva medico anche me. Mi portò da Erminio Macario a Cinecittà: lì vidi le luci, quel suo riccetto, poi il silenzio, il ciak! si gira. Ero stravolto, già pazzo per il cinema. Il cinema è il mio sogno».
È vero che fu Sofia Loren a insegnarle il mestiere?
«Sì, per questo credo di amarla. Ancora oggi, vederla mi emoziona. Lei, reduce dagli Usa, dove vinse l'Oscar per La ciociara , sapeva bene come lavoravano i publicity men americani. E mi svelò diversi trucchi, guidandomi. Pensare che avevo iniziato come attore, facendo il cameriere di Franca Valeri in tv, regia di Antonello Falqui».
Nel docufilm, passeggia per Via Veneto, la strada d'una Dolce Vita ora inesistente. Quali ricordi?
«Nel '55 ci riunivamo senza dircelo: Via Veneto era comoda per parcheggiare le auto».
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