Cultura e Spettacoli

Politicamente corretto e buonismo annientati

Amiche da morire è una commedia italiana che guarda ai noir statunitensi, e che non ha paura di raccontare l'arrivismo e l'egoismo, senza cadere in facili buonismi

Amiche da morire, il film che annienta il politicamente corretto e il buonismo

Amiche da morire è il film del 2013 diretto da Giorgia Farina che andrà in onda questa sera alle 21.25 su Nove. Scritto dalla stessa Farina insieme a Fabio Bonifacci, Amiche da morire è una pellicola con un cast quasi esclusivamente al femminile che racconta un'amicizia inaspettata tra donne, ma anche il lato più oscuro dell'ambizione, senza mai scivolare in facili buonismi e luoghi comuni.

Amiche da morire, la trama

In un piccolo paesino affacciato sul mare siciliano, Olivia (Cristiana Capotondi) è una ragazza molto bella, attenta al suo aspetto, che vive un matrimonio apparentemente da sogno con Rocco (Tommaso Ramenghi), un pescatore del luogo che, forse, ha una vita segreta. Crocetta (Sabrina Impacciatore) è una donna che lavora in una delle tonnare del luogo e che vive ancora a casa con sua madre. Tutti i suoi tentativi di avere una relazione sono naufragati e tutto il paese sa che la donna porta sfortuna. Nonostante il suo aspetto, dunque, nessuno osa avvicinarsi a lei. Infine c'è Gilda (Claudia Gerini), una donna molto attraente che vive facendo la prostituta e fregandosene dell'opinione dei bigotti del paese.

Le tre donne, pur conoscendosi, non hanno nulla in comune. Le loro vite sono troppo diverse e nessuna ha stima delle altre, perché rappresentano qualcosa che detestano ma che, in realtà, anelano. Tuttavia questo status quo è destinato a cambiare quando il marito di Olivia, Rocco, scompare, richiamando l'attenzione del commissario Nico (Vinicio Marchioni) che comincia a sospettare che ci sia qualche segreto dietro l'inaspettata amicizia che nasce tra Olivia, Crocetta e Gilda.

La fine di tutti gli stereotipi buonisti

Se c'è una cosa di cui spesso viene accusato il cinema italiano è la sua spesso dilagante mancanza di coraggio. La maggior parte delle pellicole realizzate nel Belpaese raccontano storie che propongono stereotipi radicati nella cultura, ma anche un profondo senso di buonismo e accettazione che, alla lunga, finisce con lo stancare. Le storie hanno bisogno di conflitto, di personaggi grigi, che non siano crudeli, ma nemmeno così apertamente positivi da rischiare di far cariare i denti. Ecco perché Amiche da morire rappresenta una buona ventata d'aria fresca nel suo non voler scendere a patti con mondi idilliaci, con storie piatte piene di rappresentazioni troppo buoniste per essere verosimili e, dunque, credibili.

Il primo politicamente corretto che Amiche da morire scardina è quello legato all'amicizia tra donne. Chi lo ha detto che le donne devono essere per forza sempre amiche, sorelle o complici? Nella società attuale sembra che non si possa alzare una critica o una diversa opinione contro persone che fanno parte del proprio sesso. Le donne devono essere amiche, esseri angelici che dentro di sé covano solo sentimenti positivi, candidi, puri. La regista Giorgia Farina che donna è sa che non è vero e che dietro il velo dei benpensanti c'è tutto un mondo che non può essere riassunto in uno schema generale che vale per tutti. Olivia, Gilda e Crocetta sono tre donne diverse, a tratti opposte: non diventano amiche, diventano complici. Perciò in Amiche da morire viene meno quello stereotipo consolatorio di tre donne che diventano migliori amiche nonostante le difficoltà. Anzi. Le tre protagoniste del film sono tre donne che sono sempre lì a giudicarsi l'un l'altra, ad additare i difetti reciproci in una continua lotta e che invidiano i successi delle altre, anche senza avere sempre il coraggio di dirlo. E che belle sono queste donne così reali, che non devono nascondersi dietro atteggiamenti politicamente corretti solo per non offendere il popolo dei leoni da tastiera.

Allo stesso modo Amiche da morire propone una storia dove a farla da padrone è, soprattutto, l'egoismo. E, a pensarci bene, si tratta di una vera e propria novità. Nel cinema italiano i personaggi - e, di riflesso, gli spettatori - sono abituati a sentirsi in colpa per le proprie ambizioni e i propri desideri. Come se avere dei sogni o delle aspirazioni fosse una colpa contro l'immagine preconfezionata dell'essere umano che si deve prodigare per gli altri, che deve rimanere sempre umile e silenzioso e che non deve combattere per ottenere ciò che vuole. Tutte e tre le protagoniste agiscono non per redimersi, non per salvare qualcuno, ma solo per individualismo. E anche se Crocetta, Olivia e Gilda finiscono con il fare squadra comune rimangono sempre molto distinte, sempre pronte a dar battaglia. Dalla vanità, alla sete di potere passando per il desiderio di lusso, le tre protagoniste non celano mai i propri difetti, ma si mostrano al pubblico con le loro imperfezioni, con i loro angoli bui. Collegato poi a questo concetto dell'esaltazione del proprio io c'è anche la scelta di non ricorrere alla facile strada del vero amore e della relazione come compimento della storia.

Le tre protagoniste sono protagoniste assolute, artefici dei loro destini (e dei loro errori) e il loro scopo non è mai trovare un uomo che possa dare un senso alle loro esistenze.

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