Anche i cinefili riabilitano Risi Tutti in coda per «I Mostri»

Dopo il successo di «Anni difficili» di Zampa, fa il pieno il film del 1962 con due episodi inediti con Tognazzi

da Venezia

La rabbia attorno a La rabbia non si placa. Nel 1963 Pasolini e Guareschi firmarono a due voci, da sinistra e da destra, un documentario sull’Italia del boom. Un tonfo, restò in sala due giorni. Sennonché «l’ipotesi di ricostruzione della versione originale» approntata dalla Cineteca di Bologna, con 16 minuti inediti, prevede solo La rabbia del «progressista» Pasolini, non quella del «qualunquista» Guareschi. La faccenda sarebbe finita lì se Giuseppe Bertolucci, presidente della Cineteca, non avesse dichiarato che il testo di Guareschi «è insostenibile, addirittura razzista, gli abbiamo fatto un piacere a non recuperarlo». Offesi, i figli dello scrittore hanno chiesto a Bertolucci di lasciare il comitato che prepara le celebrazioni per il centenario della nascita, il regista s’è dimesso scusandosi a metà. Ma la querelle continua, non fosse altro perché La rabbia dimezzata esce venerdì (10 copie) distribuita dal Luce. Una scelta che Guido Conti, 43 anni, autore di Giovannino Guareschi. Biografia di uno scrittore (Rizzoli), considera pessima. Oggi presenterà il suo libro alla Festa nazionale del Pd.
Guareschi era razzista?
«Ma no! Se Bertolucci si riferisce alle donne di una tribù africana, in gonnellino di paglia, che ballano al suono di un inno della Marina militare americana, be’ mostra di aver capito poco. Guareschi, rifacendosi alle vignette umoristiche del Marc’Aurelio, dice che il Continente nero avrebbe fatto gola ai grandi Paesi espansionistici. Mi pare vedesse giusto».
Però Tatti Sanguineti dice all'Ansa che «Guareschi, da monarchico-anarchico qual era, si poteva definire colonialista».
«Si vada a leggere il romanzo inedito Stefania tra i boeri, nel quale Guareschi denuncia per primo i lager inglesi in terra boera. Ciò detto, il film resta una roba da cinefili, inguardabile. Tuttavia sforbiciarne una parte è una fesseria. Come togliere dai romanzi di Pasolini le pagine in cui si fa l’elogio del comunismo, visto come ideologia salvifica. Meglio permettere al pubblico di giudicare con la propria testa. Guareschi non era né razzista né reazionario, voleva salvare la dignità del Paese. Le dirò di più: le sue idee sull’Italia devastata dalla tv spesso coincidono con quelle di Pasolini».
Però i due adottano stili diversi, voci diverse: Carletto Romano e Gigi Artuso da un lato, Bassani e Guttuso dall’altro.
«Non si può giudicare il pezzo di Guareschi con gli occhi odierni, sia quando denuncia gli esperimenti dei russi sugli animali o l’ambiguità sessuale dei femminielli, sia quando si augura che il cuore dell’uomo batta alla luce della fede cristiana. E poi non è che l’episodio pasoliniano fosse tanto meglio. Monotono, lento, lagnoso. Per questo sento odore di pubblicità. Mostrare il film in quella versione è un errore filologico e storico, pure ideologico. Purtroppo la sinistra fece di Pasolini un lucido profeta e di Guareschi un bieco reazionario. Ambedue, invece, avevano nostalgia delle lucciole, denunciavano la rivoluzione antropologica che avrebbe prodotto il “cretino medio” di Fruttero e Lucentini, difendevano l’Italia dalla speculazione edilizia e dalla corruzione politica».


Luciano Sovena, ad del Luce, annuncia, forse già per il festival di Roma, La rabbia secondo Guareschi: l’episodio tagliato più un approfondimento.
«Sono ovviamente contento, ma resto dell’idea che separare le due opere non abbia proprio senso».

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