Cultura e Spettacoli

"Anch'io ho pensato fosse vera. Mi piace, però è senz'anima"

Così Lucio Dalla commenta la musica di Emily Howell, una compositrice e pianista virtuale. "Non sapevo che non fosse una vera pianista, l’ho ascoltata e m’è piaciuta, ma senza sconvolgermi"

"Anch'io ho pensato fosse vera. Mi piace, però è senz'anima"

Lucio Dalla è curioso di natura; lui sguazza negli esperimenti musicali, altrimenti non avrebbe riscritto il libretto, la musica e curato la regia della sua bellissima Tosca che gira l’Italia con enorme successo. Così, qualche tempo fa, ha ascoltato la musica di Emily Howell, prima ancora di sapere che fosse un computer. «Non sapevo che non fosse una vera pianista - racconta Dalla -, l’ho ascoltata e m’è piaciuta, ma senza sconvolgermi. Non ho detto “caspita senti il nuovo Gould o il nuovo Benedetti Michelangeli”, un suono molto piacevole».

Ma non è rimasto sconvolto scoprendo che dietro c’era solo un computer?
«No, anzi, la cosa da un lato mi appassiona; sono troppo disincantato per gridare allo scandalo. Ormai dobbiamo fare i conti con una società artificiale, non siamo più abituati alle cose naturali».

Non pensa che questa finta Emily possa danneggiare autori e compositori?
«Non credo, oggi si giudica l’opera d’arte senza guardare nemmeno in faccia l’artista. Maciò che scriveunvero artista arriva sempre al cuore, il resto può arrivare al massimo all’orecchio, pur essendo piacevole da ascoltare. Non si impara a diventare artisti. I ragazzi dei talent show in tv ad esempio imparano a cantare bene - anche se a volte come pappagalli -ma diventare veri artisti dipende solo da loro. Figurarsi una macchina. Questa è l’ultima frontiera della tecnica ed èuna cosa eclatante, ma negli anni ci sono state tante canzoni senza volto durate lo spazio di un mattino».

Pensa che sia solo un fenomeno commerciale?
«Nonso, e se lo fosse non mi stupirei, basta che ci sia un po’ di qualità e non ci sia dietro una truffa, ma in questo caso non mi pare. È l’opera di un professore universitario che fa questi esperimenti da quarant’anni. A volte sono più truffaldine quelle boy band che appaiono una o due volte in tv cantando in playback; almeno con Emily i brani sono belli, anche se inanimati».

Un computer che compone e suona musica classica è affascinante o fa paura?
«È il frutto di questi anni. Anch’io uso il computer; a Los Angeles ho comprato un programma di scrittura che spesso traduce ciò che scrivo come vuole lui, rielaborandolo; credo che in piccolo a me succeda quello che fa Emily Howell».

E l’autore-compositore che ruolo ha oggi, soprattutto davanti a questi fenomeni?
«Il compositore ha un dovere principale davanti a se stesso e al suo pubblico: quello di mantenere alta la qualità. Questo è il mio obiettivo e il giorno che non ci riuscirò più mi sparerò in un piede e mi ritirerò. Se poi per fare buona musica ci vuole il computer ben venga».

Lei cosa pensa veramente della tecnologia nell’arte? «Quello che penso della tecnologia in generale; se aiuta a vivere più a lungo, a stare meglio, perché non usarla? Poi usare le macchine non vuol dire essere aridi o insensibili; io le uso ma mi commuovo ancora al fischio di un treno».

Come vede il futuro di Emily Howell?
«Andrà sicuramente bene perché è un fenomeno e perché cade in un momento di abbassamento della qualità musicale. Almeno lei compone; non sarà umana ma lancia nuoveidee. Non si può ripetere Mozart all’infinito.

Poil’anima, come dicevo prima, è un’altracosa: ma Emily ha tutte le caratteristiche per piacere e avere successo». 

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