Cultura e Spettacoli

Il Nobel alla scrittrice delle piccole vite. E l’autobiografia si fa universale tra "lotta di classe" e ricerca delle radici

L’autrice francese scende nella dimensione sociale attraverso romanzi, sentiti come una missione, ma che dividono. Ecco le caratteristiche che hanno portato questa "ragazza del popolo" a vincere il premio letterario più ambito.

Il Nobel alla scrittrice delle piccole vite. E l’autobiografia si fa universale tra "lotta di classe" e ricerca delle radici

Scendere nella dimensione sociale, far riguadagnare alla scrittura quella dimensione politica o, alla francese, quell'engagement, che da tempo non si vedeva nella letteratura, «vendicare la sua razza» grazie a una forma di scrittura che ha ribattezzato «autobiografia impersonale»: sono le diverse declinazioni della missione di Annie Ernaux come scrittrice, missione in senso vero, esplicitamente vocazionale, come più volte dichiarato dall'autrice stessa, che sta al cuore di ogni sua opera. Ed è arrivato il Nobel: per questa professoressa francese di lettere - con fortissimi legami con la sociologia e in particolare con Pierre Bourdieu, di una decina d'anni più anziano, legami che le hanno permesso di individuare il «malessere sociale» da cui è afflitta fin dagli anni della scuola - classe 1940, nata l'1 settembre a Lillebonne, è il coronamento di anni di «lotta» letteraria, in cui ha scritto, come lei sostiene, «per far accadere qualcosa, dentro e fuori di sé».

Scrittrice «felice» si è dichiarata subito dopo aver appreso del riconoscimento: «Il discorso sarà occasione per esprimermi... Sono fiera», ha detto rispondendo ai cronisti assiepati dinanzi alla sua casa di Cergy-Pontoise, ad ovest di Parigi. E nella sua casa editrice, nel «Salon Bleu» di Gallimard, ha proseguito: «Responsabilità significa continuare a lottare contro le ingiustizie, di qualunque forma esse siano. Tutto quello che è una forma di ingiustizia rispetto alle donne, rispetto a quelli che chiamo i dominati, come diceva Pierre Bourdieu... Sento una responsabilità nuova». E poi: «Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e il diritto all'aborto sono un diritto fondamentale» ha proseguito. «La letteratura può avere un'azione, seminando tra i lettori». Con lei la Francia diventa il Paese che ha preso più Nobel per la letteratura nella storia del Premio (ma lei è la prima donna) e Macron ha twittato: «Da cinquant'anni, Annie Ernaux scrive il romanzo della memoria collettiva e intima del nostro Paese. La sua voce è la voce della libertà delle donne e dei dimenticati del secolo. Attraverso questa consacrazione si unisce alla grande cerchia di Nobel della nostra letteratura francese». Lo stesso Presidente cui la Ernaux, sul modello della canzone Il disertore di Boris Vian, scrisse una lettera di fuoco, a marzo 2020, per criticare il modello liberare e la gestione «bellica», anche a livello linguistico, del Covid 19: «Lo Stato conta i soldi, noi conteremo i morti... Sappia, egregio Presidente, che non vi permetteremo più di rubarci la vita, è l'unica che abbiamo, e come dice un'altra canzone, questa volta di Alain Souchon, niente vale la vita. Né vi lasceremo imbavagliare a lungo la nostra libertà democratica».

La motivazione per il premio all'autrice di romanzi, memoir e saggi amatissimi oppure odiatissimi dai lettori (la via di mezzo, con la Ernaux, non si dà: in chi la legge, è incapace di suscitare indifferenza) come Il posto, Gli anni, L'evento, La vergogna, L'altra figlia oppure l'ultimo in ordine di traduzione (è arrivato in Italia quest'anno, ma è del 2014), Guarda le luci, amore mio (tutti editi da L'Orma, come la maggior parte delle sue opere in Italia) per un totale di una ventina di volumi, risiede infatti nel «coraggio e l'acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale». Molti dei suoi libri sono anche diventati film, tra questi L'Événement di Audrey Diwan, uscito in Italia con il titolo La scelta di Anne - L'evento, vincitore del Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2021, e Passion simple di Danielle Arbid (L'amante russo, 2021). Nel 2008 Patrick-Mario Bernard e Pierre Trividic hanno diretto L'autre, film tratto dal romanzo L'Occupation, mentre lei stessa ha realizzato un video autobiografico per Les Années Super-8, co-diretto con David Ernaux-Briot e nel 2014 ha sceneggiato Mon week-end au centre commercial di Naruna Kaplan de Macedo.

Cresciuta in Normandia, a Yvetot, dove i suoi genitori si sono trasferiti quando era ancora piccola per aprire una drogheria, frequenta una scuola privata cattolica dove lo stare fianco a fianco con ragazze provenienti da un ambiente molto più agiato del suo le fa sperimentare molto presto un profondo imbarazzo di classe, che la abbandonerà solo molto tempo dopo, e non grazie alla scrittura, ma alla lettura e a quei nomi della letteratura a cui non ha mai smesso di ispirarsi: «Ho sentito con forza la vergogna di essere nata in una classe popolare intorno ai 16, 17 anni, ma allora non volevo vedere, la coscienza è arrivata solo 10 anni dopo, alla morte di mio padre», ha dichiarato qualche anno fa in una lunga intervista a Io Donna. «In quel momento ho capito che appartenevo a quel mondo, ho guardato negli occhi la realtà e il mio desiderio di affrancarmi. E non ho mai smesso di guardare al mondo da dove vengo, anche grazie ai grandi romanzi americani Hemingway, Steinbeck che parlano dell'umanità ordinaria. Mi irritavano le altre ragazze, borghesi, che non trovavano niente in quella letteratura».

È a 18 anni, alla fine degli anni Cinquanta, che sperimenta per la prima volta la distanza dalla famiglia per partire da sola e andare a lavorare in una colonia estiva. È l'esperienza che darà vita al suo Memoria di ragazza (L'Orma, 2017): la sessualità, la vita in comune, una indipendenza economica che sostiene e si compenetra con quella psicologica e sociale, anche grazie al suo soggiorno a Finchley, alla periferia di Londra, dove arriva come ragazza alla pari nel 1960, prima di decidere di studiare Lettere all'Università di Rouen. È il periodo in cui compone il suo primo manoscritto, che non arriverà mai alla pubblicazione, perché in effetti la Ernaux si è poi dedicata esclusivamente alla letteratura molto tardi, solo nel 2000. Gli anni seguenti di fatto sono quelli del matrimonio, della nascita dei suoi due figli, degli anni trascorsi ad Annecy, dove è insegnante nelle scuole secondarie e della morte del padre, nel 1967, quando torna in Normandia, a far visita ai genitori.

È del 1974 la sua prima opera pubblicata, e pubblicata da uno dei primi editori di Francia, Gallimard: Gli armadi vuoti (da noi tradotto da Rizzoli nel 1996), in cui si cimenta per la prima volta in quella particolare forma di autofiction che le ha poi conferito la fortuna di cui gode. Nel romanzo si narra dell'aborto clandestino cui la stessa Ernaux si sottopose nel 1964 (aborto che poi ritorna in L'evento), inquadrato in quella già citata traiettoria personale di «transfuga di classe». A renderla nota ad un pubblico considerevole, tuttavia, sarà un libro apparso soltanto dieci anni dopo all'incirca, ovvero Il posto, pubblicato sempre da Gallimard (a cui nel frattempo aveva chiesto di eliminare dalle copertine dei suoi libri ogni riferimento a qualsiasi genere letterario) nel 1983 e tradotto in Italia nel 2014. Nel frattempo si era trasferita nella regione parigina con la famiglia, aveva lasciato l'insegnamento classico a scuola per quello a distanza, aveva cominciato a scrivere articoli femministi per Le Monde («È sempre stata dalla parte delle donne. Non userei la parola femminista, ormai legata a una ideologia che non c'è più» ha detto Dacia Maraini commentando l'attribuzione del premio) e assistito alla morte del padre, figura che è al centro di questo racconto, da molti considerato il suo capolavoro (dedicherà poi Una donna, 1988, alla perdita della madre).

I ruoli di un uomo, da contadino a gestore di un negozio, la pressione e la predeterminazione sociale, e il senso di colpa di sua figlia per l'iniziale disprezzo delle sue origini operaie sono i cardini attorno a cui ruota Il posto, ma che vengono, in un modo o nell'altro, ripresi anche nei successivi romanzi, in un continuo tentativo di compilare quella «autobiografia collettiva» di cui forse Gli anni sono l'esempio più compiuto: la scrittura si fa del tutto neutrale, gli eventi biografici sono «fatti» in cui «lei» può diventare impersonale o plurale, la lotta contro l'invisibilità sociale si è definitivamente trasformata nella riscoperta di una «voce popolare».

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