Cultura e Spettacoli

António Lobo Antunes, un esploratore perduto nei meandri del ricordo

Nel romanzo appena tradotto tutti i temi più cari allo scrittore. Dal flusso di coscienza alla memoria

António Lobo Antunes, un esploratore perduto nei meandri del ricordo

In una recente intervista di Marzio Breda, il portoghese (nato a Lisbona nel 1942) António Lobo Antunes uno dei maggiori scrittori contemporanei, candidato più volte al Nobel, ha dichiarato, pensando ancora al proprio passato di ragazzo, lo stesso sanguinante passato (sotto la dittatura salazarista) che ha raccontato in alcuni romanzi: «Ero un codardo, mentre tanti miei coetanei combattevano la dittatura e alcuni sparivano o erano uccisi. Io avevo paura e mi tenevo al riparo, protetto dal nome della mia famiglia aristocratica. Paura della polizia politica, della tortura, dei campi di concentramento. Ho dovuto andare in guerra per guadagnarmi il rispetto di me stesso. Sono arrivato in Africa e mi sono offerto per cose che non voglio dire... La guerra è orribile, bestiale». Se è vero che si diventa uomini rispondendo a necessità reali, Lobo Antunes quella necessità se l'andò a cercare follemente in guerra (arruolandosi come tenente medico dal 1971 al 1973), lasciando una donna appena sposata e incinta a Lisbona moglie a cui spedirà, dall'Angola, lettere che poi comporranno un libro importante (Lettere dalla guerra) per comprendere non solo l'uomo, ma lo scrittore che diventerà. Di quell'esperienza, oltre all'epistolario, ci resta un capolavoro, In culo al mondo (1979), nel quale Lobo Antunes non solo dà testimonianza della guerra coloniale (chiamata il Vietnam portoghese), ma pure di saperla raccontare con uno stile inconfondibile, quello di chi ha assorbito le voci di tutto il romanzo moderno europeo (Céline primo faro), riuscendo a trovarne una propria. Che la voce sia una caratteristica fondante dei suoi libri, è lui stesso ad averlo dichiarato numerose volte, confidando di lavorare ogni giorno otto/dieci ore, a volte attendendone tre o quattro prima che quella voce emerga dentro di lui, finalmente parlandogli.

Arriva ora in Italia, per la traduzione di Vittoria Martinetto, un romanzo che Lobo Antunes ha pubblicato in patria nel 2012: Non è mezzanotte chi vuole (Feltrinelli, pagg. 416, euro 22). Sono passati oltre trent'anni dall'uscita di In culo al mondo, ormai siamo lontani da quell'esperienza di guerra (anche se troviamo un personaggio che la rievoca), ma la voce resta ancora l'aspetto che più di ogni altra cosa nei romanzi del portoghese ammiriamo, sapendo che è qui che forma e contenuto coincidono. Bisognerà dire però in cosa consista questa voce.

Del resto, la vicenda del romanzo è sintetizzabile in poche parole. Una donna, cinquataduenne, torna nella casa di famiglia delle vacanze dopo molto tempo. Una casa ormai disabitata, ridotta a rudere. In tre giorni, un fine settimana che si concluderà con la vendita dell'appartamento, fa riemergere la vita dell'intero nucleo famigliare: il fratello maggiore suicidatosi, il secondo partito in Africa per la guerra e ritornato pazzo, il terzo sordomuto nato da un rapporto extraconiugale della madre (la quale vive con un senso di colpa perpetuo), un padre che si alcolizza perché sa che quel figlio non è suo, ma lo accetta; anzi, è il figlio a cui vuole più bene. E intorno alla famiglia una serie di altri personaggi che fanno emergere anche il carattere insicuro della voce narrante: un marito che si è smesso d'amare, la collega più vecchia che invece di lei si innamora, la ricca amica d'infanzia rincontrata solo molti anni dopo e che sarà il suo medico colei che con freddezza le annuncerà d'avere un tumore al seno. Insomma, è il dramma dell'esistenza. Il punto è questo: «sono venuta a dire addio a questa casa o al mio fratello più grande e, attraverso lui, a me stessa, non so, per quale motivo ciò che è accaduto tanto tempo fa continua ad accadere».

Per Lobo Antunes, come ha detto più volte, il passato non esiste. Quello che viviamo è un interminabile presente. Ed è la voce a darcene conferma. Lo stile di Lobo Antunes è un flusso di ricordi (e di coscienza) senza interruzioni. Il punto che chiude un inesauribile periodo, arriva solo alla fine di ogni capitolo. Per questo la virgola ha un valore tanto importante nella frase. Oltre ad aprire continuamente il discorso attraverso innumerevoli subordinate, funziona anche da interruzione, inciampo, deviazione della memoria. La virgola insomma sposta il discorso da un ricordo a un altro, apparentemente lasciandoci pensare alla fragilità, o al caos di una mente instabile, in realtà svelandoci una fedeltà al modo in cui la nostra stessa mente prende parola dentro di noi. E questa fedeltà la riscontriamo in un'altra interruzione, quando la frase, spezzandosi con un a-capo, apre lo spazio al lampo di un'affermazione (mai di un dialogo), ricordandoci che quello che la memoria conserva di noi e degli altri non è mai l'ordine di una conversazione che abbiamo avuto, ma la lapidarietà di singole proposizioni che si fissano risuonandoci nella mente e che, nella narrazione, a volte alimentano, altre spostano altrove il flusso del ricordo.

Attraverso quella voce, Lobo Antunes o il suo personaggio femminile resuscita i morti, li fa vivere di nuovo nella sua mente. Per questo il tempo per lui non esiste, perché è alla continua ricerca di quel luogo in cui tutti i tempi coincidono: «in quale posto si trova tutto questo, un silenzio concavo intorno a me che le onde assalgono e abbandonano». Già si è detto dell'influenza che Lobo Antunes ha subito dallo stile di Céline. Eppure sono convinto che nel caso di questo romanzo il vero modello sia la Virginia Woolf de Le onde. Anche lì, quello che i personaggi cercavano attraverso dei soliloqui, raccontando la tragedia della propria esistenza, era una loro specifica consistenza e concretezza, una loro realtà. Anche nelle Onde quella voce era un modo di opporsi all'inesorabilità della morte.

Scrive Lobo Antunes: «se esistesse un senso camminerei in quella direzione, solo che ignoro dove vada a finire e ignorare dove vada a finire mi terrorizza». La domanda che è al fondo del libro, allora, è addirittura vertiginosa: cosa resta di noi, del dolore che abbiamo provato, dell'amore che abbiamo ricevuto e donato, in quale silenzio verranno inghiottiti i nostri pensieri, le nostre parole, la verità e le menzogne, tutta intera la nostra vita?

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