Ha molti pregi Girlfriend in a coma, l'opera firmata da Bill Emmott e trasmessa in questi giorni dal canale Cult di Sky. Il primo è farci comprendere che un pamphlet schierato è l'opposto di un documentario. Il secondo è esemplificare cosa non è l'osannato giornalismo anglosassone. Il terzo è la vanità scoperta dell'ex direttore di The Economist dispensata come uno spray in tutto il lungometraggio in una quantità di riprese pari al numero di persone intervistate. Decine e tutte immancabilmente antiberlusconiane. Un coro nutrito che va da Travaglio a Saviano, da Lorella Zanardo alla Camusso, da Eco a Toni Servillo a Carlin Petrini. Tra tutti costoro, la frase meno allineata la pronuncia ad un certo punto Nanni Moretti, tutto dire, quando afferma: «Non scordiamoci che in questi diciotto anni ha governato anche la sinistra». Ma è un passaggio fugacissimo, sepolto in una rappresentazione per la quale l'epoca berlusconiana è il punto più basso della storia italiana dalla venuta di Cristo - ovviamente ce n'è anche per la Chiesa - ai giorni nostri.
Tuttavia, da Moretti conviene partire per parlare del film più in sintonia con il tempo che l'Italia sta vivendo, quel Viva la libertà che Roberto Andò ha tratto dal suo apprezzato Il trono vuoto (Bompiani). E che prende, implicitamente, le mosse dal memorabile j'accuse morettiano di oltre dieci anni fa, quando, riferendosi a Rutelli e Fassino disse: «Con questi dirigenti non vinceremo mai». Dalla sua angolazione girotondina Andò mette a fuoco le lacune della sinistra tradizionale riuscendo però a parlare a tutti. Il merito è l'arguzia nel fotografare la distanza della politica dal sentire comune e l'incapacità dell'opposizione, prigioniera di troppi bizantinismi, a scegliere una linea di condotta chiara. Una situazione che rende auspicabile la fuga del leader paralizzato. E credibile l'avvento dell'alieno, il neofita digiuno delle alchimie del Palazzo che, precipitato nel «teatrino», ne sconvolge le regole riconquistando la fiducia degli elettori.
Enrico Oliveri (un Servillo magistrale, qui alle prese con un doppio ruolo) è l'altero capo del principale partito d'opposizione che, quando una contestazione lo lascia senza parole, decide di rifugiarsi a Parigi presso una fiamma di gioventù. La sua è una fuga dell'orgoglio: «Voglio vedere che cosa faranno questi stronzi senza di me», urla ferito. Ma a Roma, grazie allo zelo dell'assistente Bottini, un Mastandrea perfettamente nella parte, il vuoto viene colmato dalla figura del fratello gemello, un depresso professore di filosofia che scrive libri sotto pseudonimo, il più importante dei quali s'intitola emblematicamente L'illusione di vivere. «Oggi vi parlerò della catastrofe», esordisce il leader surrogato al suo primo comizio. «Anche della catastrofe del nostro partito. Da oggi le cose cambieranno. Perché nessuno possa mai dire che i tempi erano oscuri perché noi abbiamo taciuto». In un altro intervento in piazza entusiasma ancora la folla: «Voglio dirvi la parola che mi è più cara e che su questo pannello non c'è: passione... Il nostro nemico ha preso un'apparenza invincibile. Ci ha rubato le nostre parole e le ha stravolte». Ben presto i sondaggi riprendono a salire...
Accompagnato da una scrittura composta che indovina il registro surreale e quasi sorrentiniano, questo elogio della follia in politica può trasformarsi in una piccola scossa per il nostro cinema e la nostra politica. Forse due mondi non proprio così distanti tra loro (vedi dialogo con il regista Mung).
In una pellicola d'impegno si ride ripetutamente grazie all'ironia del leader stralunato e all'aria malinconica del suo segretario («Poi parlerà uno di quei giornalisti che sanno tutto e non capiscono niente», dice presentandogli i relatori di un convegno). Il quale, poco alla volta, si lascia conquistare dal suo nuovo capo: «Io uno come lei lo voterei».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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