Cultura e Spettacoli

È arrivato Satana tra gli ebrei Così Singer profetizzò Hitler

Esce il primo romanzo del grande scrittore: la storia di una credenza popolare annuncia la vera tragedia

È arrivato Satana tra gli ebrei Così Singer profetizzò Hitler

Satana a Goraj, pubblicato a puntate sulla rivista yiddish Globus dal gennaio al settembre 1933, è il primo grande racconto dello scrittore ebreo-polacco Isaac Bashevis Singer (1902 1991), cui nel 1978 fu conferito il Premio Nobel per la letteratura (quando il Nobel era ancora un grande e serio riconoscimento letterario). Il romanzo, ora pubblicato da Adelphi, sorge sulla memoria storica della comunità ebraico-polacca e racconta gli sconvolgimenti sociali e spirituali che si produssero a Goraj, uno shtetl, ovvero un villaggio ebraico della Galizia orientale. È storia di fede e di follia, narrata con una straordinaria, immensa potenza evocatoria, storia di un isterismo di massa che travolge, sconvolge il piccolo universo della comunità ebraica di Goraj qualche anno dopo lo sterminio provocato dal 1648 al 1654 dalle crudeli invasioni delle orde dei cosacchi e dei tatari al comando dello spietato atamano Bohdan Chmiel'nytskij, che saccheggiarono, con atroci massacri, la Volinia, la Podolia, l'Ucraina e la Galizia orientale, causando un imprecisato numero di morti: si parla di un milione, tra cui centomila ebrei, con la distruzione di centinaia di villaggi abitati da ebrei, brutalmente trucidati. Passata l'onda di efferata violenza che aveva distrutto Goraj, i superstiti, interiormente distrutti, rientrano gradualmente nel villaggio e qui avviene un'ulteriore tragedia che sorge all'interno della stessa comunità, dilaniata da lotte intestine legate a uno scontro epocale sul destino dell'ebraismo. Un conflitto religioso, ma anche di potere, mentre una autentica possessione turba la difficile ricostruzione della piccola comunità (esemplare di tante altre di quell'epoca).

Emissari giungono a Goraj predicando una dottrina, scaturita dalla disperazione degli israeliti. Un ebreo di Smirne, Shabbatai Tzevi predicava un messaggio millenaristico: proclamatosi Messia affermava che si era alla fine dei tempi, che presto i dolori, le sofferenze, le persecuzioni sarebbero finite e che gli ebrei sarebbero tornati liberi e felici in Terra Santa e che tutti i popoli li avrebbero serviti. Questo messaggio si diffuse in tutte le comunità degli ebrei d'Europa, da Amsterdam a Vilnius fino ai più sperduti villaggi dell'Ucraina, come a Goraj, divenendo per alcuni la speranza utopica nella liberazione finale per altri una falsa dottrina diabolica da combattere insieme a tutti i suoi pericolosi seguaci. Ogni utopia, ogni sogno millenaristico di redenzione è destinato a naufragare (ma anche risorgere), così anche il sabbatianesimo dei derelitti ebrei dei villaggi galiziani e ucraini. Ma se questa è la storia, altro è il travolgente, morboso e avvincente racconto di Singer che riesce con una capacità evocatoria allucinante a conferire vita poetica a quel piccolo mondo che ci viene incontro come una grandiosa anticipazione della estrema tragedia dell'ebraismo polacco.

Il racconto, che prende le mosse nel 1665, si svolge nell'arco di un anno. L'inizio è segnato da una tenue speranza di ripresa di vita col ritorno dei superstiti dai pogrom dei cosacchi. Le misere casupole, le squallide capanne risorgono pur nella ristrettezza coi vecchi materiali quasi a simbolo della vecchia vita su cui s'innerva quell'indomita vitalità ebraica. L'attività della comunità si rifonda attorno al vecchio e stanco rabbino Benish, nella cui famiglia già s'intravvedono quelle tensioni e ostilità mai sopite e appena trattenute dall'autorità del patriarca. Nel villaggio giungono sempre più numerose le notizie del nuovo messaggio di redenzione, che viene lentamente viene introdotto e diffuso da viaggiatori, che propagano un messaggio di speranza in una redenzione universale degli ebrei della diaspora: si tornerà a Gerusalemme. Entro pochi mesi alla vigilia del nuovo anno ebraico, verrà una nuvola a prendere tutti gli ebrei di Goraj per condurli a casa, al Tempio. I vecchi credenti vedono con raccapriccio il diffondersi di questa folle predicazione millenarista, ma i nuovi credenti nel messaggio di Shabattay Tzewi li mettono a tacere con la violenza, con la diffamazione, con il sarcasmo e la calunnia. Il racconto diviene un caleidoscopio dei caratteri più vari di ebrei di diversi livelli sociali e intellettuali, tutti unificati dalla grande adesione alla cultura dell'ebraismo orientale con quell'intrigante miscuglio di tradizione rabbinica, talmudica e il plurisecolare folclore popolare di leggende, superstizioni, favole dell'Europa Orientale.

Il racconto si svolge nella lingua dello shtetl, lo yiddish, che era un singolare miscuglio tra tedesco medievale, ebraico-aramaico, corrotto dalla pronuncia degli ebrei ashkenaziti, ovvero dell'Europa Orientale, nonché da cospicui influssi delle lingue dei paesi in cui gli ebrei si trovavano a vivere da secoli. Una lingua, quella yiddish, dalla dolce, languida melodia che le valse la denominazione di mame-loshn, lingua della mamma, quella che sedusse Kafka rivelandogli improvvisamente l'essenza dell'ebraismo orientale, la cui spiritualità gli ebrei assimilati di Praga avevano ormai smarrito. E proprio in alcune novelle di Kafka, come, tra le altre, Il cruccio del padre di famiglia, Il cacciatore Gracco, Il cavaliere del secchio, Un incrocio, La tana e soprattutto La metamorfosi, affiora quell'inquietante magma fantastico che è all'origine della stessa perturbante scrittura di Singer, in cui ogni atrocità, brutalità, abiezione avviene, mentre in questo mondo straziato da volgarità e dolore la stessa speranza svanisce poiché, come afferma un personaggio: «Dio è morto. L'abominio regnerà in eterno».

È la fine tormentata dell'universo dello shtetl e Singer ne è il cantore e insieme anche il sismografo. Satana a Goraj è, infatti, la storia della perdizione di una comunità in preda ai suoi fantasmi, ai suoi demoni, alimentati per secoli nella disperazione e nella miseria della diaspora, è il racconto di una follia collettiva, di una struggente illusione e insieme è anche la narrazione di aggrovigliate vite e di destini infelici. E per Singer la narrazione della vita e del destino non conosce fine, può proseguire per sempre, finché non avvenga l'impossibile con l'arrivo di quella nuvola per Gerusalemme. Follia e redenzione, miracolo e disperazione s'intrecciano in un indistricabile destino e in questo groviglio di speranza e maledizione si origina la robusta forza narrativa di Singer e della letteratura yiddish di quei decenni, che sorge impetuosa come confermano i grandi romanzi del fratello Israel Joshua, anche lui autore di capolavori (più realisti che fantastici) come I fratelli Ashkenazi, Yoshe Kalb e La famiglia Karnowski. È il canto del cigno di una cultura e spiritualità plurisecolare alla vigilia della distruzione provocata dallo sterminio nazista e stalinista.

Singer comincia a pubblicare a puntate il suo romanzo proprio nel gennaio 1933 quando Hitler sale al potere, novello spietato Chmel'nytskij.

Il mondo di Singer è permeato dall'intuizione tragica che trasforma il romanzo in un doloroso, ancorché affascinante e perturbante affresco della tragedia ebraica, vista e vissuta dall'interno dell'ebraismo.

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