Cultura e Spettacoli

Avventura nell'Arabia felice (pronta a diventare infelice)

Torna il libro del maestro di T.E. Lawrence. Un viaggio nel carattere aspro del Medio Oriente. Ancora attuale

Avventura nell'Arabia felice (pronta a diventare infelice)

Vent'anni fa un esemplare di Travels in Arabia Deserta, di Charles Doughty, venne battuto da Sotheby's per trenta milioni di lire. Edito nel 1921, conteneva la dedica autografa del suo autore, dello sceicco Feisal, che poi sarebbe divenuto re dell'Iraq, e di Thomas Edward Lawrence, allora universalmente conosciuto come Lawrence d'Arabia, che quel libro aveva fatto ristampare e prefato.

La copia in questione Lawrence l'aveva regalata all'amico Aubrey Herbert, compagno d'armi dell'Arab Intelligence Bureau del Cairo, e in seguito era finita in possesso di Peter Hopkirk, corrispondente del Times dal Medio e Estremo Oriente, viaggiatore e scrittore, autore fra l'altro di Il grande gioco, una sorta di nipotino di Lawrence, in sostanza. Quella battuta all'asta faceva parte della sua collezione lawrenciana, consistente in oltre 200 pezzi e frutto di anni di ricerche che egli stesso, nel catalogo che li accompagnava, aveva definito «eccitanti come una partita di caccia grossa, ma senza il rischio di restare incornati». Fra prime edizioni, rarità, curiosità, «il Doughty», come gli specialisti e gli appassionati di cose arabe avevano ribattezzato il libro, a indicarne lo status di classico del suo autore, aveva un posto d'onore, anche perché raccontava una lunga storia.

Travels in Arabia Deserta era uscito per la prima volta nel 1888, per la Cambridge University Press e con una tiratura limitata di 500 copie. Charles M. Doughty era un medico inglese appassionato del Medio Oriente che dieci anni prima aveva deciso di visitare un sito archeologico nascosto nel cuore dell'Arabia, e per raggiungerlo si era travestito da pellegrino e unito ala grande carovana di devoti che da Damasco raggiungeva le città sante dell'Islam. Ci aveva messo quasi due anni, aveva vissuto con i beduini, era stato fatto prigioniero ed era scappato, si era ammalato ed era stato curato, aveva peregrinato nel deserto e finalmente, nel 1878, da Jeddah era riuscito a tornare in patria. Da allora si era dedicato alla stesura del libro che più tardi, assieme a relazioni e conferenze, gli valse la Medaglia d'oro della Royal Geographic Society.

Pubblicato in due volumi, Travels in Arabia Deserta divenne presto, per la mole e la limitata tiratura, un libro raro e costoso e Lawrence, che ne era entrato in possesso durante la sua prima volta in Arabia come giovane studioso di archeologia, si batté a lungo perché venisse riedito: dopo gli sconvolgimenti medio-orientali causati dalla Prima guerra mondiale, c'era bisogno di un nuovo inquadramento per un nuovo pubblico.

Negli anni Trenta «il Doughty», sfrondato nelle sue parti più tecniche e di molte lungaggini e ripetizioni, venne infine ridotto alle dimensioni di un solo volume, di circa trecento pagine, e iniziò una seconda vita che, mezzo secolo dopo, diede vita a una terza, l'edizione Phillips&Company Press, che presentava una diversa scelta e revisione del testo e che è quella che i lettori moderni di fatto conoscono anche in italiano (Arabia deserta, Guanda, pagg. 312, euro 20).

L'introduzione di Lawrence è dunque ciò che lega l'edizione originale al volume che oggi è nelle librerie: uno sguardo alle cartine dell'epoca e alla geografia contemporanea aiuta a capire come quell'Arabia deserta allora attraversata sia oggi un'Arabia popolata e insieme intransitabile. Sotto questo aspetto, il libro è il racconto poetico di un mondo pressoché scomparso, tende, uomini, animali, campi di lava e villaggi, dove ogni tanto affiora «la vera Arabia, con i suoi odori e la sua sporcizia, ma anche con la sua nobiltà e libertà».

Resta però, dal punto di vista dell'osservazione psicologica, un libro esemplare sula società araba, l'asprezza della loro fede, il granito delle loro certezze. «Il loro pensiero si trova a proprio agio con gli estremi. Vivono per scelta con i superlativi. Sono un popolo dalla mentalità chiusa e limitata, la loro immaginazione è vivace ma non creativa. Le loro convinzioni sono istintive, le azioni impulsive. La religione è il loro prodotto principale».

Proprio perché era stato fra i responsabili di quel terremoto politico in Medio Oriente, nella sua introduzione Lawrence cerca di correggere, alla luce di ciò che è successo, quelle che erano state le impressioni riportate a suo tempo dall'autore: «Allora la principale divisione dei popoli era quella tra musulmani e cristiani. Più di recente tale divisione si è attenuata, lasciando il posto a quella fra gruppi schierati con gli alleati e gruppi schierati con gli imperi centrali. In questi quarant'anni gli arabi occidentali avevano appreso quanto bastava dell'idea dell'Europa per accettare il nazionalismo come base d'azione. La religione che fino ad allora aveva rappresentato la motivazione e la caratteristica della vita nel deserto, cedette il passo alla politica. L'ostilità un tempo rivolta contro i cristiani si diresse contro gli stranieri che pretendevano di interferire negli affari interni delle provincie arabofone». Ottant'anni dopo, quelle considerazioni si prestano paradossalmente a spiegare il rivolgimento che è sotto i nostri occhi, ma intanto la religione si è fatta politica e l'artificiosità dei confini nazionali allora creati non è più in grado di stabilire lo spartiacque fra arabi e fra arabi e stranieri...

Il modo migliore per leggere Arabia deserta è ormai quello che attiene ai romanzi di avventura e non ai libri di viaggio...

L'emiro Ibn Rashid, l'emiro di Aneyra, le tombe rupestri di Medain Salin, la lunga e perigliosa strada per Kheybar, i tumulti nelle città e le fughe nei palmeti sono una specie di Mille e una notte, l'Arabia felix della nostra immaginazione.

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