Basta libri per un anno e riscopriamo la lettura

La risposta al filologo Lorenzo Tomasin, che ha sollevato dubbi in merito alla qualità dei romanzi italiani contemporanei: qui la reazione di Dvide Brullo

Basta libri per un anno e riscopriamo la lettura
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Che palle. L'Occidente continua a tramontare da un secolo, il romanzo è morto da quando è nato, il requiem ha il rombo assordante di decine di migliaia di libri insignificanti pubblicati ogni anno. Il j'accuse di Lorenzo Tomasin scagliato dal pulpito del Campiello brutale sintesi: i romanzi italiani fanno, generosamente, tutti schifo ci trova tutti d'accordo. Solo che. Andava pubblicato su La Voce di Papini+Prezzolini, ora pare un reperto della Prima guerra mondiale. A Giacomo Leopardi, per dire, era già tutto chiaro due secoli fa, sfogliate Il Parini ovvero della gloria: i lettori sono idioti («La moltitudine dei lettori... è molto più dilettata... dal mediocre che dall'ottimo»), i critici letterari idem, se gli scrittori vogliono la fama costituzionalmente avversa al genio devono scrivere male («L'affaticarsi di scrivere perfettamente, è quasi inutile alla fama»). È sempre la stessa storia. Talmente la stessa che: è inutile leggere scrittori di polistirolo come Paolo Di Paolo o Giuseppe Catozzella, affrontate l'opera di Mario Pomilio e di Giorgio Saviane, è assurdo sprecare aggettivi sull'opera di Valeria Parrella o di Veronica Raimo, studiate i libri di Eliana Bouchard e di Francesca Serragnoli; ma, a onor del vero, non è che ci sia questa differenza tra Niccolò Ammaniti e Antonio Tabucchi, tra Marco Missiroli e Alfredo Todisco. Insomma, da decenni, editorialmente, è il fango. E allora? I fatti sono semplici, semplicemente questi.

a) I premi Strega, Campiello&Co. non dovrebbero premiare il noto, il risaputo, né limitarsi al solito pool di griffe editoriali. I premi non devono cercare i «capolavori assoluti» (Tomasin), perché l'assolutezza non sta nel recinto terreno e il capolavoro è tale se vince il torchio del tempo. Devono finanziare il capolavoro di domani, investire sulla possibile grandezza, domani, di uno scrittore di oggi. Altrimenti, sono premi da bar sport, anzi, da happy hour.

b) Gli editori devono fare soldi. Li facciano. Lo scrittore, se tale è, vive l'oltranza e reputa oltraggioso essere pubblicato insieme a un cuoco, un rapper, un politico, un attore, un calciatore, uno youtuber prestato al romanzo. Lo scrittore scalpita. Faccia scelte ribelli. Rifiuti i grandi marchi gonfi di editor trionfanti nella loro ottusità, avranno anche letto migliaia di libri ma sono più realisti del re, gli manca il fiuto, sono i cani da tartufo dell'ovvio.

c) I critici letterari dovrebbero evitare il piagnisteo e scoprire gli scrittori veri, che stanno nelle catacombe. Ma i critici letterari, da tempo, hanno perso la sana voglia di leggere l'insolito, sponsorizzano la consuetudine.

d) L'unico obbiettivo di uno scrittore è scrivere la parola ultima, il libro che rifonderà il linguaggio, che alfabetizzerà i lupi, i rospi, le serpi, costringendoli a convertirsi, a diventare uomini, condannati alla stessa fame di dolore e di gloria.

Per il momento.

Non pubblichiamo. Per un anno almeno. Stimoliamo la voglia proibita di leggere. In agricoltura si dice maggese. Tenere a riposo una terra brutalmente sarchiata, perché torni a dare frutto. Se preferite. Usate la parola «quarantena».

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