Un bel ricordo dell'anima «nera» di Hooker

I non appassionati di blues hanno imparato a conoscere John Lee Hooker nel 1989, quando arrivò il successo commerciale di The Healer, l'album in cui tutte le star del rock - a partire da Carlos Santana - si mettevano al suo servizio per celebrarne l'arte profana. I cultori della musica del Diavolo e i musicisti, però, riconoscono in Hooker uno dei grandi padri del blues del profondo Sud, che si esalta e si elettrifica - per una volta - non sulla direttrice di Chicago, ma su quella di Detroit. Hooker non sapeva nulla della tecnica della chitarra, a malapena distingueva la corda del MI, ma con la sua «anima» creò una vera e propria tecnica anarchica e ipnotica, un dipanarsi di note lugubri e dissonanti che - unite alla sua voce gutturale e dalla modulazione incantatoria - nessuno è mai riuscito ad imitare. Il suo tono baritonale drammatico e intimo ben si attagliava alla frenesia (ben controllata) del blues che lui cantò con originalità e passione, come dimostra l'album John Lee Hooker. The Galaxy LP (Soul Jam) un raro disco del 1962 che contiene incisioni degli anni Cinquanta, quando Hooker era già una star grazie a hit come la celeberrima Boogie Chillum del '48.

Qui dimostra tutta la sua evocatività, solo con la sua chitarra elettrica e il ritmico battito del piede, in brani come Shake It Up and Go, Lost My Job, Ballad to Abraham Lincoln, più alcune «bonus tracks» tra cui spicca Let's talk It Over (con la seconda chitarra del fido Eddie Kirkland, anch'egli ottimo bluesman sulla scena di Detroit). Un ottimo mix tra il downhome blues di Charley Patton e il nuovo suono della Motor Town.

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