Benigni il conformista Dalla rivoluzione ai salotti del Quirinale

Oggi lo show dell'attore che celebra la nostra Costituzione. Come è diverso dal Robertaccio antisistema di un tempo...

Roberto Benigni mostra la copia anastatica della Costituzione Italiana ricevuta da Giorgio Napolitano
Roberto Benigni mostra la copia anastatica della Costituzione Italiana ricevuta da Giorgio Napolitano

Del resto le persone cambiano. Si trasformano. Evolvono. E non sempre in meglio. Nella fattispecie sì, per chi scrive. Ma in molti sull'argomento in questione - Metamorfosi di Roberto Benigni - aprirebbero l'odiato dibattito di morettiana memoria. Perché la di lui evoluscion è simbolo ed emblema di quella, più larga ed epocale, della sinistra tutta. Di un intero mondo. Di una tempèrie culturale, direbbero quelli del dibattito. Dalla rivoluzione all'istituzione. Esplicitando, dalla protesta ribelle alla celebrazione della Costituzione. Una giravolta in quattro istantanee.
A rimirar quelle dell'altro giorno, addì 13 dicembre 2012, del nostro maggior artista comico tra i due presidenti, Giorgio Napolitano della Repubblica, e Anna Maria Tarantola della Rai, la mente s'affolla di pensieri e suggestioni. L'occasione era appunto la presentazione ufficiale di La più bella del mondo, show comico-divulgativo dedicato alla Costituzione e dintorni in onda stasera su Raiuno dal Teatro 5 di Cinecittà. Due ore di monologo, da Berlusconi ai padri costituenti andata e ritorno, passando per la Resistenza e la Seconda Repubblica agonizzante. Scrutando quelle foto, colpisce dunque al primo sguardo che, tra gli arazzi i tappeti e i velluti del Quirinale, mentre ci si passa di mano la copia della somma Carta, l'unica macchia di colore rosso sia lo scialle di donna Tarantola, la meno «sinistra» del terzetto. Al fin della loro lunga marcia ai vertici dell'austere istituzioni, Napolitano e Benigni non avrebbero potuto sfoggiare quello smargiasso e chiassoso color. Va pur detto, a onor del vero, che una licenza fuor di protocollo Robertaccio se l'è riservata, presentandosi scravattato in cotal consesso. Ma è altra faccenda, un pizzico d'anarchia concessa all'artista di casa chez le president. Già nel marzo scorso, infatti, nei medesimi saloni quirinalizi tenne un breve discorso al cospetto delle autorità per la chiusura del Centocinquantesimo dell'Unità d'Italia, da qualche tempo uno dei suoi cavalli di battaglia. O meglio, cavalli da show. Come quello bianco dell'ingresso con tanto di tricolore al Festival 2011 per l'esegesi dell'Inno di Mameli che gli ottenne gran plauso di pubblico e di critica.
La svolta istituzionale della sinistra celebra i classici della storia patria e si compie nei luoghi nazionalpopolari dell'Ariston di Sanremo e davanti alle telecamere di Raiuno. Prima La Divina commedia, poi Fratelli d'Italia, ora La più bella del mondo, come l'ha furbescamente citata Bersani ad un recente comizio firmandone copie-regalo per i militanti. Ma per quanto ci si sforzi, sarà difficile vedere Bersani in braccio a Benigni come avvenne trent'anni fa con Berlinguer in un altro dei fotogrammi della lunga marcia. Correva l'anno domini 1983, ben distante dai palazzi delle istituzioni il Pci agitava la questione morale e Benigni giurava che il più serioso dei politici era un «comunista garantito». Iniziò quel giorno il processo di sdoganamento pop dei leader di partito che avrebbe portato Bersani a duettare con Maurizio Crozza (peraltro pure autore di una riuscita parodia di Giorgio Napolitano; sarà mica il Capo dello Stato la legittimazione dei comici?). In quel momento anche Benigni aveva cominciato ad emanciparsi dal ribellismo di nicchia accreditandosi presso l'establishment più ufficiale. Non era più tempo delle scandalose provocazioni architettate da Giuseppe Bertolucci.

E delle performance di Onda libera - Televacca che l'irriverente Mario Cioni faceva tra vacche e cavalli in una stalla di Campi Bisenzio. La lunga marcia di Benignaccio e della sinistra era iniziata. Dalle stalle al Quirinale, le persone cambiano. Eccome.

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