Cultura e Spettacoli

Bertolucci, ultimo maestro che pensava «in grande»

Alessandro Sansoni

È un grande dolore la morte del grande Bernardo Bertolucci. «Grande» è un aggettivo che va utilizzato più volte parlando di lui: con Bertolucci si perde infatti uno dei pochi interpreti italiani di un cinema votato alla maestosità. Ricordandolo, il pensiero vola rapido non solo al suo film cult Ultimo tango a Parigi, ma anche e soprattutto a opere come L'Ultimo Imperatore o Novecento, dove il genio italiano dimostrava la sua capacità di confrontarsi con la Storia e la grandiosità. Se è vero che le forme scelte dall'Arte rappresentano in qualche modo la sensibilità, il vigore spirituale e le ambizioni di una società, in un dato tempo e in un dato luogo, la scomparsa di Bertolucci può essere intesa come metafora di un'Italia che da alcuni anni fatica a pensarsi «in grande» e che arriva dopo la dipartita di un altro maestro in grado di produrre affreschi storico-sociali come Ermanno Olmi e l'ormai prolungata inattività, dovuta all'età avanzata, di Franco Zeffirelli. Da troppo tempo il (presunto) cinema d'autore italiano sembra essersi definitivamente incagliato in una spirale intimistica, fatta di banalità quotidiane, talvolta di solipsismo, di psicologismi a buon mercato. Anche chi talvolta si confronta con la Storia (sempre contemporanea, perché andare troppo in là nel passato rischierebbe di imporre toni epici, pensiamo a Paolo Sorrentino e al suo affezionato interprete Toni Servillo), preferisce il macchiettismo delle figure. Siamo piccoli, sembrano dirci i registi à la page, lasciamo agli americani, ai russi, perfino agli iraniani le epopee e concentriamoci solo sulle nostre piccole frustrazioni quotidiane. È la cultura dell'italietta radical-chic, post-adolescenziale e depressa, che si riverbera nelle nostre produzioni intellettuali. Anche la tradizione del neo-realismo, attenta alle disgrazie del popolo minuto, ma poderosa nelle sue rivendicazioni sociali, sembra aver ormai perso cittadinanza nella nostra cinematografia.

Sfruttiamo allora la dipartita del maestro Bertolucci per lanciarci in un ripensamento delle nostre coordinate espressive: la cultura, l'identità e la tradizione della cinematografia italiana possono ancora ritrovare la forza, se lo vogliono, per misurarsi con la monumentalità.

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