Bob Dylan: "Ero fan di Amy Winehouse, Cohen e Alì erano i miei fratelli"

L'intervista inedita a Bob Dylan in cui il premio Nobel per la letteratura parla dei suoi amici scomparsi e della sua vita rivelando aneddoti mai detti

Bob Dylan: "Ero fan di Amy Winehouse, Cohen e Alì erano i miei fratelli"

Un'intervista esclusiva, quasi a sorpresa, quella fatta a Bob Dylan dall'autore Bill Flanagan e pubblicata sul sito web www.bobdylan.com in cui il cantautore statunitense ricorda i suoi amici scomparsi come Leonard Cohen e Mohammed Alì e gli altri due grandi musicisti come Merle Haggard e Leon Russell.

"Eravamo come fratelli, vivevamo sulla stessa strada, e ora tutti loro hanno lasciato là dove stavano degli spazi vuoti. C'è più solitudine senza di loro". Parla anche di quanto gli piacesse Amy Winehouse, di quella volta in cui insieme a George Harrison saltò una session di registrazione con Elvis Presley ("semplicemente non ci presentammo") e del syuo ultimo disco, "Triplicate" che uscirà il 31 marzo e che raccoglie in ben tre cd 30 standard americani che vanno dagli anni '20 agli anni '40.

Alla domanda se "Triplicate" sia un album nostalgico, il premio Nobel per la letteratura risponde: "Non direi. Non è come fare una passeggiata lungo il viale della memoria o rimpiangendo i buoni vecchi tempi andati... una canzone come Sentimental Journey, per esempio, non guarda all'indietro, non emula il passato, sta con i piedi per terra, è qui e adesso".

Dice di essere stato fan di Amy Winehouse considerandola "l'ultima vera indiviadualista". Parla anche del suo senso di vicinanza con uno sperimentatore del jazz come Ornette Coleman: "Avevamo diverse cose in comune. Ha affrontato molte avversità, i critici erano contro di lui, altri jazzisti erano gelosi. Lui stava facendo qualcosa di veramente nuovo, di fondamentale, e non l'hanno capito. Non è molto diverso dagli insulti che sono stati gettati addosso a me per aver fatto alcune cose simili alle sue, sia pur attraverso altre forme musicali".

Chiede Flanagan se Dylan si preoccupi di quel che possono pensare i suoi fan di questo terzo album di standard (gli altri due erano "Shadows in the Night" e "Fallen Angels", 2015 e 2016): "Queste canzoni sono pensate per l'uomo della strada. Forse è un fan di Bob Dylan, forse no. Non lo so... Quel che so è quanta essenza di vita, quanta reale condizione umana ci sia in esse. Si tratta di alcuni dei pezzi più struggenti mai registrati, e voglio render loro giustizia. C'è un realismo diretto in loro, una fede nella vita di tutti i giorni, così come succedeva nel primo rock'n'roll. Oggi la musica moderna è così istituzionalizzata che non lo sai più".

E poi c'è anche il tempo di parlare di se stesso: "Sono nato a Duluth, città industriale, moli navali, grandi silos per il grano, scambi ferroviari. Nebbia spessa, marinai, tempeste, bufere di neve. Mia madre racconta di razionamenti di cibo, elettricità tagliata, mancanza di riscaldamento. Era un posto buio, anche in pieno giorno, tra coprifuoco, depressione, solitudine: ci abbiamo vissuto fino ai miei cinque anni, fino alla fine della guerra".

Commoventi anche le parole riservate a colei che, per qualche anno - ai tempi delle battaglie comuni per il "Civil Rights Movement" nei primi anni sessanta - fu considerata la sua "anima gemella", cioè Joan Baez: "La sua voce era come quella di una sirena vicino a qualche isola

greca. Bastava quel suono per precipitarti in un incantesimo. Era un'ammaliatrice. Dovevi farti legare all'albero maestro come Ulisse e infilarti dei tappi nelle orecchie per non ascoltarla. Ti faceva dimenticare chi fossi".

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