Prima la buona notizia: la nuova generazione di cantautori italiani funziona non solo nel cosiddetto circuito underground riservato a pochi appassionati. Critica entusiasta (forse troppo). Concerti sempre più affollati (ottimo segno). Premi ovunque (immancabili). E anche popolarità. Insomma è il momento della terza ondata di cantautori, dopo quelli ormai storici e quelli rimasti per anni tra color che son sospesi (Gazzé, Silvestri, Fabi, Bersani eccetera). Ampiamente trentenni, ampiamente vintage. Per capirci, Costellazioni, il nuovo disco di Luci della Centrale Elettrica (da qui in avanti chiamati per brevità Vasco Brondi, che è il fondatore e la mente del progetto) ha debuttato al secondo posto della classifica e questa settimana è al settimo per di più «senza che nessuno ci passi in radio, a parte Rairadiodue» come ha twittato lui a Luca De Gennaro.
D'accordo che ormai le vendite discografiche sono irrisorie e, come dice un artista dal curriculum intoccabile, «basta avere una famiglia numerosa per entrare in classifica», però il successo è innegabile. Idem per Dente, al secolo Giuseppe Peveri da Fidenza, 38 anni, che arrota la erre come Guccini, scrive anche per Arisa che è pazza di lui (Sinceramente nel cd Se vedo te) e gioca con le parole, le scompone, gode di calembour e doppi o tripli sensi. Il suo disco L'Almanacco del giorno prima è forse meno malinconico e più allegro (allegro è un eufemismo) del precendente Io tra di noi e si è meritato l'attenzione anche di canali radio e tv solitamente lontani da quel mondo.
Infine c'è Dario Brunori, cosentino, 37 anni, anche lui come Brondi e Dente nascosto dietro al nome d'arte che nel suo caso è quello della piccola ditta di famiglia, una rivendita di materiali da costruzione. Baffuto e occhialuto come il suo mito Groucho Marx, ha già intascato il Premio Ciampi, la Targa Tenco e una lenzuolata di recensioni positive anche come autore della colonna sonora del film È nata una star con Papaleo e Littizzetto. E il suo nuovo disco Vol. 3 - Il cammino di Santiago in taxi è forse il suo più vario e ispirato nonostante testi non sempre guizzanti: il primo singolo Kurt Cobain è intenso ma non originale e Mambo reazionario affronta l'incoerente crepuscolo delle ideologie collocandolo sull'ideale e ritrito binario che da Pinochet arriva a Beyoncé (la rima però è bella). Ecco qui arriva il punto e, dopo la bella notizia, c'è quella meno bella: quanto sono nuovi i nuovi cantautori? Musicalmente poco, bisogna ammetterlo. In questi dischi c'è un'inesorabile atmosfera vintage e, davvero, l'ascoltatore meno informato potrebbe senza problemi ricondurre molti brani al repertorio anni Settanta della grande scuola cantautoriale, fatte salve qualche fuga nel proto indie rock stile CCCP o nell'ironia alla Rino Gaetano o Ivan Graziani.
E anche i testi, nel loro complesso, sembrano meno furenti di quelli dei capiscuola, che davvero hanno acceso un paio di generazioni, innescato polemiche e influito in modo innegabile nel costume e addirittura anche nella nostra vita politica. E meno graffianti dei cantautori arrivati negli anni Novanta, più ritmati e musicalmente assai più raffinati. Ora sono più intimisti, insomma. E più autoreferenziali, quasi destinati a un cerchio magico di ascoltatori che per fortuna si sta allargando ma chissà per quanto. Sono, per dirla tutta, lo specchio di un decennio, il nostro, in fuga inesorabile dalle rigidità ideologiche e forse privo di scintille progettuali. Perciò, come ha detto Brondi, «le mie sono canzoni d'amore e di merda dalla provincia»: un modo sintetico e un po' snob di chiamarsi fuori dall'obbligatorio paradigma del cantautore impegnato.
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