Bullock e Clooney spaziali per una Odissea ottimista

"Gravity" inaugura con verve una rassegna piena di pellicole sulla crisi. "Abbiamo affrontato il tema dell'estrema avversità e della solitudine"

Bullock e Clooney spaziali per una Odissea ottimista

dal nostro inviato a Venezia

«Alla cieca, Houston». Matt Kowalski, astronauta veterano alla sua ultima missione, e l'esordiente Ryan Stone stanno precipitando nel vuoto e nel buio dopo essere stati colpiti da una pioggia di detriti e aver perso ogni contatto con la propria navicella. Ma dalla base operativa della Nasa giunge solo un assordante silenzio. «Alla cieca», ripetono sul filo della disperazione i due cosmonauti, nonostante l'inguaribile e logorroico narciso Kowalski (George Clooney) si sforzi d'infondere fiducia alla collega (Sandra Bullock) con aneddoti della sua lunga carriera a caccia del record di permanenza nello spazio.

Proponendo Gravity di Alfonso Cuarón quale film d'apertura della settantesima edizione, ieri la Mostra di Venezia è partita con il piede giusto, certamente molto più di quanto accadde un anno fa con il prolisso Fondamentalista riluttante. Per iniziare bene il direttore artistico Alberto Barbera ha avuto la furbizia di scegliere come opera d'esordio, fuori concorso, un film breve, girato in 3D, con un cast hollywoodiano seppur ridotto a due soli attori, che ha il pregio di stare in equilibrio tra azione e esistenzialismo, tra effetti spettacolari e temi inerenti le sorti dell'uomo e la sua solitudine. Un film non a caso accolto da un convinto applauso sia alla proiezione per la stampa che a quella serale in Sala Grande. Un'accoglienza positiva che potrebbe trovare conferma anche all'uscita nei cinema il 3 ottobre.

«Dietro il tratto fantascientifico e la suspense abbiamo pensato a un film che affrontasse un tema universale come quello delle avversità», ha spiegato Jonas Cuaron, sceneggiatore e figlio del regista, nell'incontro con i giornalisti. «Tutti si possono trovare in situazioni complicate, e che cosa c'è di più terrificante che essere dispersi nello spazio?». E quella che tocca a Kowalski e Stone è una vera odissea che tiene col fiato sospeso. Un'Odissea nello spazio al contrario, come si intuisce nella scena finale che sembra citare il celebre incipit del film di Kubrick.

Mentre vorticano nel buio i due astronauti rivedono la propria vita, gli errori commessi, cercando di attaccarsi a ciò che hanno di più caro in quella che diventa una grande metafora del tempo attuale: anche nella situazione di massima espressione di progresso tecnico e scientifico, l'uomo è solo, senza punti di riferimento, senza falsi appigli ideologici. Ma può e deve trovare motivi e energie per lottare. «Nei momenti complicati cerco di essere riflessivo, di reagire senza urlare. Insomma cerco di imitare coloro che reagiscono bene», ha rivelato Clooney in conferenza stampa. Anche la Bullock ha avuto le sue dritte: «Mio fratello è amico di un astronauta e mi ha chiamato dallo spazio per darmi dei consigli. È incredibile cosa può fare un cellulare», ha raccontato l'attrice. «Per noi gli astronauti sono miti. Invece sono persone normali, con una passione straordinaria per la vita e il nostro pianeta. A parlare con loro ti senti umilissima». Perfetta anche la scelta del titolo. Gravity rappresenta la forza di gravità assente nello spazio. Ma anche il centro di gravità che l'uomo cerca e di cui ha bisogno. E forse anche la gravità massima della situazione nella quale i due protagonisti si trovano. «Girare questo film non è stato fare una passeggiata», ha proseguito la Bullock in abito fluo rosa e verde: «Riprese in condizioni estreme, piena di cavi, da sola.

Ce la dovevo fare perché la storia valeva tanto».

Inevitabili le domande a Clooney su cosa dovrebbe fare Obama a proposito delle vicende siriane: «Me l'aspettavo», ha premesso l'attore, «ma devo dire che per la Siria non credo di avere una risposta».

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