"Canto la mia Napoli con un tocco di jazz Il pop non esiste più"

Esce "Malìa", il cd prodotto da Mauro Pagani Nell'album Rava, Di Battista e Rita Marcotulli

"Canto la mia Napoli con un tocco di jazz Il pop non esiste più"

Fanno coppia da oltre quindici anni per scavare nella tradizione musicale napoletana e riportarla ai giorni nostri. Con un po' di filologia e un pizzico d'ingegno (che in verità a loro non manca) Massimo Ranieri e Mauro Pagani (ma quante ne hanno fatte nella loro inesauribile carriera?) tornano con un nuovo disco dedicato alla canzone partenopea, Malìa, stavolta quella del periodo anni '50 e '60. E lo fanno rileggendola a ritmo jazz con l'aiuto di star come Enrico Rava, Stefano Di Battista, Rita Marcotulli, Riccardo Fioravanti, Stefano Bagnoli. Ci sono classici come Nun è peccato di Peppino Di Capri, Doce doce, il lato B del 45 giri Frida che segnò il debutto di Fred Bongusto, Ue ue che femmena (scritta da Nicola Salerno, in arte Nisa e Ugo Calise, amico di Count Basie) in cui Rava interpola alc une sue frasi con un tema di Miles Davis. Un'operazione elegante e sofisticata che verrà presto proposta anche in tv e nei concerti dal vivo e che Ranieri e Pagani raccontano con legittima fierezza.

Come è nato questo nuovo progetto?

«È nato soprattutto da un grande entusiasmo e dalla voglia di riscoprire un filone particolare della canzone napoletana, quella dal profumo americano che veniva da Capri, da Ischia e dai night».

Un bel connubio Napoli e l'America.

«Tra gli anni '50 e '60 a Napoli si scriveva musica “americana”. Era il retaggio della liberazione. La grande scuola di percussionisti napoletani nasce da coloro che impararono dai musicisti americani sulle navi. Non dimentichiamo che in precedenza Napoli era capitale di un Regno e i musicisti che ne hanno fatto la storia erano musicisti colti che ne hanno costruito l'anima popolare».

Quindi il jazz è nelle sue radici?

«Diciamo che in questo caso usare il linguaggio jazz è stato naturale».

Come ai suoi esordi?

«Esattamente come ai miei esordi. Prima di sbarcare in America nel '64 debuttai, grazie al mio maestro che lavorava alla Nato, in un night di Napoli, l'EM, frequentato solo dai militari americani e, col mio inglese, interpretai un pezzo tratto da West Side Story. Ho fatto parte anch'io dei “nightaroli” e ho cercato di ricostruire quell'ambiente».

Nostalgia del passato rispetto al pop di oggi?

«Oggi esiste un pop? Non lo so. C'è una tale confusione di suoni, negli anni '50 c'era una naturale contaminazione tra jazz e pop». Sull'argomento anni '60 interviene anche Pagani ricordando che «oggi il pop è perfetto dal punto di vista della costruzione, ma c'è un meccanismo che costruisce un pop da distribuire velocemente. Un tempo la musica era il fiume su cui navigavano i nostri sogni. Ma nei gloriosi anni '60 circolavano anche una valanga di schifezze».

Quindi come avete costruito il disco?

«Io e Mauro Pagani collaboriamo dal 2001, qui nel suo studio di registrazione Officine Meccaniche sono nati gli altri dischi, ma questo è speciale. Qui ci sono canzoni delicate da interpretare rispetto ai grandi classici. La sfida è stata quella di non “ranierizzarle” ma di lasciarle scorrere e preservarle com'erano ai loro tempi, con l'aiuto dei grandi musicisti che mi accompagnano».

Difficoltà?

«Il timore che nella mia interpretazione rimanessero semplici canzoni e non quelle piccole perle che sono in realtà. Quei piccoli grandi crooner napoletani cantavano con delicatezza perché nei night si cantava per 6 o 7 ore di fila».

«Già - ricorda Pagani - e a turno i musicisti si chiudevano nello stanzino delle scope per bere e fumare una sigaretta. Quando toccava al batterista, veniva sostituito da un altro strumentista e allora partiva una Blue Moon, che era semplice da accompagnare, che durava un quarto d'ora».

È un album difficile: avrà mercato?

«Non mi sono posto il problema, è una cosa di cui si occupa la mia casa discografica che evidentemente crede nel progetto. Speriamo di vendere 'nu poco 'e dischi! A parte gli scherzi io sono un vecchio romantico e mi produco i dischi e le piéce teatrali da solo. Guardate il mio Riccardo III, non è andato bene come incassi ma è stato osannato dalla critica».

Vedremo Ranieri jazz dal vivo?

«Sì, il 16 gennaio in Rai nel mio programma Sogno o son desto 3 e poi ai grandi festival jazz».

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