Il capolavoro è servito a suon di musica e ballo

di Damien Chazelle con Emma Stone, Ryan Gosling, J.K. Simmons, Finn Wittrock

Sarà questo La La Land, forte anche dei sette Golden Globes recentemente vinti (mai nessuno aveva fatto meglio, nemmeno Qualcuno volò sopra il nido del cuculo, fermatosi a sei) il trionfatore nella prossima notte degli Oscar (record di 14 candidature)? La logica e, soprattutto, la bellezza di questo film, farebbero propendere per il sì. Difficile che qualcuno possa far meglio di un musical che, almeno per tutta la sua prima ora di proiezione, ti fa esclamare: «Eccola la pellicola perfetta, il capolavoro assoluto», mentre, completamente assorto, rimani avvolto dalle sue atmosfere d'antan rivisitate in chiave moderna. Come dimostra il meraviglioso piano-sequenza iniziale, girato in una autostrada losangelina, macchine incolonnate e autisti che balzano fuori dalle loro vetture per ballare, cantare ed introdurre i due protagonisti del musical. Lei è una divina Emma Stone, nei panni di un'aspirante attrice che, mentre insegue i suoi sogni, serve caffè nel bar degli Studios. Lui è Ryan Gosling, pianista innamorato del jazz, che vorrebbe aprire un locale tutto suo ed intanto suona musichette natalizie nei ristoranti. Si scontrano, si rincontrano, si amano. La più classica delle storie, appunto. Con inevitabili complicazioni nel rapporto quando i sogni sembrano diventare finalmente realtà. Nulla di nuovo insomma. In fondo, però, l'opera del trentaduenne Damien Chazelle, uno che si era fatto apprezzare anche dal grande pubblico per un gioiello come Whiplash, bada più alle sue sublimi sequenze visive per incollare lo spettatore alla poltrona, piuttosto che alla storia in sè. Merito, appunto, della Stone che giganteggia per le quasi due ore (forse, eccessive) della pellicola, costringendo il partner Gosling, pur bravo, a vivere di luce riflessa. Quando c'è lei, la scena si illumina; senza, diventa un film normale. Tantissimi pregi e qualche difetto.

Nella seconda parte, il musical si accartoccia, prima di riabilitarsi grazie all'ingegnoso finale alla «Sliding Doors». Certo, i due, tra loro, ballano il minimo sindacale e senza incantare. Poco male. La Hollywood che non c'è più è tornata a risplendere, anche se solo per 120 minuti. E che strameritato Oscar sia.

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