Il caso di «Holy motors» il film dell'anno che qui non s'è mai visto

Premio a Torino, trionfo a Cannes, critici in delirio e buoni incassi. Ma in Italia lo hanno snobbato. A parte un piccolo distributore...

Il caso di «Holy motors» il film dell'anno che qui non s'è mai visto

È il vincitore morale dello scorso festival di Cannes. È in vetta alla classifica del film più bello dell'anno dei mitici «Cahiers du Cinéma», pure coraggiosi a scrivere che il presidente della giuria, Nanni Moretti, l'ha trascurato nel palmarès forse perché non l'aveva capito «visto che si faceva tradurre tutto all'orecchio». Ha appena vinto al festival di Torino, conclusosi ieri, il Mouse d'Oro dei collaboratori dei siti di cinema raggiungendo il plebiscitario 9,29 per cento di gradimento. Come le critiche positive, il 91 per cento, calcolate dallo specializzato sito statunitense rottentomatoes.com. Insomma Holy Motors di Leox Carax è uno dei film più amati e celebrati da una certa critica e più attesi da un certo pubblico.

E proprio per questa (in)certezza - perché è un film che si ama o si odia - rischiavamo di non vederlo in Italia. Nessuno era disposto ad accollarsi il rischio di un'opera cosiddetta difficile (intellettualistica per i detrattori), in cui la vita e l'opera del regista stesso si fondono e si riflettono come mai accaduto prima. Fortunatamente, tra le pieghe delle «grandi» case di distribuzione, agiscono «piccoli» e indipendenti soggetti come la Movies Inspired di Stefano Jacono che tra marzo e aprile prossimi porterà nelle nostre sale questo immenso film firmato dal grande regista di Rosso sangue, Gli amanti del Pont-Neuf e dedicato all'attrice russa protagonista del suo Pola X, Katya Golubyova morta lo scorso anno. Più che un'opera sola, Holy Motors è la summa di tutti i film che il regista avrebbe voluto girare. Tanti quanti sono gli appuntamenti - gli episodi - che il protagonista Monsieur Oscar ha in una giornata di lavoro che svolge all'interno di una limousine bianca per le strade di Parigi guidata dalla bionda e fedele Céline.

Ma chi è Oscar? Dentro la macchina un camerino teatrale in piena regola con il tipico specchio con le lampadine, trucco e parrucco. Entra ed esce, e una volta è un industriale, poi un mendicante, un assassino, un padre di famiglia, persino un mostro con un nomen omen appropriato, Monsieur Merde al fianco di una Eva Mendes per nulla scandalizzata. E qui inizia lo spiazzante gioco di citazioni (Merde è il titolo dell'episodio di Carax del film collettivo Tokyo! del 2008 con lo stesso personaggio) con tanti rimandi ma anche invenzioni che rendono Holy Motors un film stratificato, complesso, profondo, seppur all'apparenza di una semplicità disarmante. Intorno all'idea basica di far interpretare al protagonista più personaggi il film si trasforma in una straordinaria riflessione sulla realtà che viene mostrata, sulle maschere che ogni individuo indossa proprio come quelle, incredibili e camaleontiche, di Denis Lavant, l'attore feticcio del regista.

Già dall'inizio ci domandiamo che cosa abbiamo di fronte: sogno, realtà, fantasia, cinema verità? Dapprima scorrono le splendide immagini dei film cronofotografati di Étienne-Jules Marey del 1882, poi è il regista stesso - mutuando un racconto di E.T.A. Hoffmann - a svegliarsi in una stanza e ad aprire in una parete una porta che lo conduce all'interno di una sala cinematografica piena di spettatori che sembrano morti (come il cinema?).

Quindi il film proiettato sullo schermo con Monsieur Oscar che saluta la famiglia al mattino per salire sulla limousine bianca da cui uscirà la sera per tornare dai figli - ora scimpanzé ammaestrati - dopo i tanti appuntamenti della lunga giornata è quello che gli spettatori stanno vedendo? E noi a quale film stiamo assistendo? Cinema e finzione. Forse il primo - s'interroga il regista - sta veramente morendo e la seconda è la nostra vita mortifera di tutti i giorni. E allora i «sacri motori», pure parlanti, di Carax ci salveranno dalla morte onnipresente nel film - in fondo ne è la protagonista (qualche volta Oscar ucciderà pure il se stesso che interpreta) - e dalle nostre vite in cui siamo uno, nessuno e centomila?

Esistenze dove ormai interpretiamo un ruolo e per svelarne la finzione abbiamo bisogno di un Monsieur Oscar che ci faccia da interprete. Che, per esempio, impersoni un vecchio che saluta sul letto di morte una giovane donna a cui non ha potuto dire tante cose. Oppure l'amante dell'amata incontrata dopo tanti anni e con la quale avere solo 20 minuti per recuperare 20 anni.

Lei (interpretata da Kylie Minogue) si metterà a cantare «chi eravamo, quando eravamo a quell'epoca», con gli stilemi propri del musical classico, e poi si butterà giù dai veri grandi magazzini La Samaritaine ormai dismessi e in procinto di diventare un grande hotel di lusso. Sinonimo, ancora una volta, di finzione. Di casa, di famiglia, di vita.

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