Cultura e Spettacoli

"Che cos'è l'archeologia? Un viaggio (poetico) a caccia di Bianconiglio"

L'autrice di "Lezioni di immortalità" racconta la bellezza e il senso degli scavi

"Che cos'è l'archeologia? Un viaggio (poetico) a caccia di Bianconiglio"

Flaminia Cruciani è un'archeologa che ha partecipato agli scavi italiani di Ebla, uno dei siti archeologici più importanti del Vicino Oriente. Cosa non comune per un archeologo è anche poetessa, con svariate raccolte pubblicate come Piano di evacuazione e Semiotica del male. Ecco perché nel suo saggio recentemente uscito per Mondadori, Lezioni di immortalità (pagg. 162, euro 18), racconta la vita degli antichi e il senso dell'archeologia in maniera affatto particolare. Porta il lettore nel cuore dell'archeologo nella percezione profonda della scoperta, che non è mai soltanto una somma di dati di scavo o di oggetti. Perché non sempre, secondo lei, le emozioni e il senso dell'archeologia si riducono al reperto. Il risultato è un testo dotto in cui si passa dall'Enûma Eli, il poema cosmologico babilonese, a come si vive in una campagna di scavo, passando per il senso del tempo e della memoria. L'abbiamo intervistata per farcelo spiegare.

Dottoressa Cruciani in che senso l'archeologia ci dà lezioni di immortalità?

«Sin da quando ero bambina ero affascinata dal tempo. Facevo un sacco di domande a mio padre, ingegnere, sul tempo e i suoi paradossi spazio-temporali. L'immortalità è una parola che apre un campo semantico ampio. C'è quella del corpo perseguita dagli alchimisti del passato e oggi dai transumanisti, attraverso la tecnologia, c'è l'immortalità dell'anima di cui parlano le religioni, l'immortalità, come fama imperitura, che desiderano gli uomini. L'immortalità di cui si parla in questo libro è legata alla storia e alla memoria, proustianamente è un tempo perduto che viene ritrovato, attraverso lo scavo, il reperto. Io credo che l'immortalità sia la poetica della archeologia».

Lei collega spesso l'archeologia alla poesia perché?

«Nel libro ho scritto: Se il lavoro del poeta è scuotere il cielo aspettando che qualche frammento cada, il lavoro dell'archeologo è scuotere la terra, senza imbarazzo del cosmo, aspettando che qualche frammento di cielo appaia. Ma sia il poeta sia l'archeologo sono animati dalla tensione del desiderio verso il nascosto, è una tensione cosmica, come dice l'etimologia, da de-sidera. Come se la terra fosse un riflesso della mappatura del cielo. I reperti, i gesti, le abitudini, le azioni compiute riposano nella terra e rivedono la luce grazie all'archeologo che è un poeta delle nostre tracce».

Lei si sentiva archeologa sin da bambina?

«Ho iniziato a scavare sin da piccola con un cucchiaio preso in cucina, a Tarquinia dove andavo al mare, nell'area archeologica di Gravisca. Allora portavo a casa quelli che già chiamavo reperti. Non sapevo ancora che il reperto ha un senso in un contesto, che è un mezzo per capire il passato, non un fine. Ma la passione era già tutta lì».

Sin qui abbiamo parlato di archeologia come passione ma c'è anche un gran bagaglio scientifico...

«In questo libro traccio una mia visione molto personale della archeologia, che è la visione di un poeta: l'archeologia guardata dall'orizzonte della poesia. Certamente il libro è sostenuto dal mio bagaglio scientifico e procedurale che ho acquisito in anni di studio. In archeologia è necessario il rigore scientifico, redigere una documentazione accurata, è fondamentale l'intuizione e la passione, come, credo, in ogni tipo di ricerca.»

Qual è il manufatto che l'ha colpita di più?

«Ci sono ritrovamenti mozza fiato, una tavoletta d'argilla o un sigillo cilindrico... ma io sono rimasta sempre colpita da quei momenti in cui sono riuscita a penetrare nel pensiero di un uomo antico, quando riuscivo a comprendere da qualche elemento materiale il suo pensiero, il ragionamento, come se la distanza spazio-temporale fosse annullata. Poi mi hanno sempre commosso gli oggetti di uso comune come i pesi da telaio o le macine, in cui in controluce vedevo le donne lavorare. Quelle donne che nella storia del Vicino Oriente antico sono sempre state sullo sfondo».

Cosa pensa del futuro dell'archeologia?

«La L'archeologia per me è l'unico modo di comprendere il presente, è questa grande lente interpretativa che ci consente di essere veramente contemporanei, e avrà sempre questo ruolo. Come diceva Nietzsche il contemporaneo è l'intempestivo, capire il proprio tempo è possibile solo grazie a una sfasatura, a un anacronismo. Il tempo è l'anima della archeologia, come la musica non può farne a meno, e l'archeologo ha sempre il tempo in mano, lo maneggia nella terra dello scavo, è in grado di creare sincronicità, fra i vari tempi del passato, del presente e del futuro, di cui l'archeologia rintraccia il coro profondo. A volte gli archeologi è come se avessero a che fare con il Bianconiglio di Alice nel Paese delle meraviglie. Alice gli chiede: Per quanto tempo è per sempre? e lui risponde A volte solo un secondo. A volte, anche in archeologia per sempre è solo un secondo e noi archeologi abbiamo sempre il tempo in mano. L'archeologia poi può farci riflettere anche sul nostro bisogno di memoria. Oggi quando parliamo di memoria pensiamo subito alla memory card, ai dischi esterni, alle memorie espandibili, che hanno modificato in modo definitivo il nostro concetto di memoria tradizionale. In molte lingue imparare a memoria implica un cuore attivo e anche in italiano ricordare viene da re-cordis, rimettere nel cuore. Oggi per ricordare non torniamo alla sede della memoria che pulsa al centro del petto, come pensavano gli antichi, ma a una protesi tecnica delocalizzata e in gigabyte. Per gli antichi ricordare era fondamentale. La memoria comune serviva a tramandare un patrimonio di tradizioni e miti, che erano letti ad alta voce durante le cerimonie. Io con questo libro vorrei riaccendere il nucleo arcaico del lettore, portarlo a ri-cordare».

Nel libro da anche molto spazio ai lavoratori siriani degli scavi di Ebla perché?

«Questo libro vuole essere anche un tributo ad una terra bellissima, oggi distrutta, e alla sua gente straordinaria».

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