L'ultima soap sul cinema d'autore s'intitola Pagine piene, sale vuote. Ovvero, della maniera in cui i film molto dibattuti sui giornali deludano al botteghino. La prima inquadratura è, come si conviene, sulla vagina di Isabella Ferrari nella posa de L'origine del mondo, il celebre dipinto di Gustave Courbet già posseduto da Jacques Lacan, psicanalista parigino apprezzato da Paolo Franchi. La penultima scena è l'intervista del regista al Fatto quotidiano, giornale di riferimento. Succo: E la chiamano estate è un capolavoro e chi lo critica non capisce un cazzo. Niente di nuovo. In mezzo - breve riassunto per i tanti che hanno colpevolmente perso qualche puntata - ci sono i sonori fischi alla proiezione per i critici al Festival del Film di Roma. C'è la comica conferenza stampa con regista e cast. Ci sono gli ancor più comici premi della giuria alla pellicola e alla Ferrari come miglior attrice. E ci sono gli sfoghi di lei: «Quella conferenza stampa così violenta è stata per me il vero stupro» (al Corriere). Poi l'appello al pubblico, «vero giudice» del suo lavoro, pronunciato a Quelli che il calcio dove ha ricevuto a sorpresa l'affettuosa telefonata di Marco Travaglio, suo partner a teatro in Anestesia totale, spettacolo nel quale Isabella leggeva brani di Montanelli. Che tenerezza. Ma tant'è, lo snobismo impera. E il cinema italiano si avvita sulla patonza dell'ex fiamma di Gianni Boncompagni, oggi collaboratore fisso del giornale di Travaglio.
Tenerezza smuove anche la trama del capolavoro incompreso. Dino (Jean-Marc Barr) è un anestesista quarantenne perdutamente innamorato di Anna (la Ferrari) con la quale non riesce ad avere rapporti intimi. Perfetto esemplare dell'«io diviso» lacaniano, si rifà frequentando squillo sfregiate e locali per scambisti dove sfoga una sessualità compulsiva. Il bello viene quando Dino tenta di convincere gli ex amanti di Anna a soddisfarla. I quali, ex amanti, lo guardano ovviamente basiti. Tanto più se gli argomenti sono: «Una scopata non si nega a nessuno. Almeno un pompino...».
Già sodomizzata dal fino allora pudicissimo e ritroso Nanni Moretti in Caos calmo e successivamente fotoshoppata da Paolo Sorrentino nel promo di una nota griffe di biancheria intima che le obliterò l'ombelico, la splendida quarantottenne Isabella ha rivelato che in quel ruolo «la nudità era il mio costume» e che sul set «ho pensato al vuoto, sono sprofondata e riemersa». E parlando del regista: «Sono entrata nella sua visione d'autore con curiosità, senza paura. Soprattutto senza pormi limiti di sorta». L'ineffabile Franchi non pone limiti alla spocchia. «Se mi attacca la mia ex professoressa di epistemologia mi addoloro. Se lo fa Mereghetti del Corriere mi importa zero», ha detto senza ridere al Fatto. E ancora, commentando i dialoghi oxfordiani dell'opera («Leccagli le palle, brava», ìncita la moglie il marito che si masturba; oppure «Pisciami in faccia»): «La volgarità è sempre negli occhi di chi guarda. Di fronte a tanta idiozia... mi scosto».
Da anni ci si chiede, stucchevolmente, perché il cinema italiano sia in crisi. Mentre registi danesi e francesi, per restare nel continente, riescono a interessare i critici e ad allargare le platee anche oltre confine, i nostri autori s'impegnano per compiacere un ristrettissimo clan di amici pseudo-intellettuali, spesso con l'aiuto del denaro pubblico (480 mila euro tra Apulia Film Commission e Mibac, oltre alla quota ancora da definire della Regione Lazio). Così la soap è servita. Facciamo i film che vogliamo, con i soldi vostri e in spregio al mercato. E se non vi piace è perché siete degli idioti.
L'ultima scena è l'invocato giudizio del pubblico. Dopo il primo giorno di programmazione E la chiamano estate ha incassato seimilacento euro (millecento spettatori in 35 sale) classificandosi diciottesimo al boxoffice.
Scorrono i titoli di coda.
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