Una storia che ha dell'incredibile. «Stavo ascoltando il mio programma preferito alla radio mentre guidavo sul ponte George Washington a New York e la prima canzone che hanno messo era la sua. Me ne sono innamorato follemente. Tornato a casa ho scaricato tutti i suoi pezzi e ora ci ho anche girato un film». Chi parla è Jonathan Demme, il regista Premio Oscar per Il silenzio degli innocenti, mentre il musicista in questione è il napoletano Enzo Avitabile, sassofonista e cantautore che negli anni '80 fu all'apice del successo.
Il risultato è il documentario Enzo Avitabile Music Life, presentato ieri fuori concorso al Lido, in cui il grande regista statunitense, che in passato ha dedicato lavori a cantanti e gruppi del calibro di Neil Young e Talking Heads, racconta il lavoro di una vita di uno dei nostri musicisti più aperti alla contaminazione con la musica straniera, dal jazz al folk al blues, senza però dimenticare la fortissima tradizione partenopea. Quella di una Napoli che è veramente, e inscindibilmente, «anema e core» di Avitabile. La stessa che Demme racconta «da dentro» e in modo molto profondo. Ed è una vera sorpresa. Perché in questi casi la nazionalità dell'artista può fare la differenza. In negativo purtroppo (e ogni allusione al recente To Rome With Love di Woody Allen è puramente voluta). Invece il regista di Philadelphia segue per le strade di Napoli il piccolo folletto di Soul Express e Black Out, cespuglietto nero in testa e orecchino con la croce («Perché dopo un peregrinaggio spirituale sono tornato a essere cristiano. Magari a modo mio ma cristiano»), facendogli pure suonare il sassofono per le vie del quartiere in cui è nato, con un effetto un po' straniante ma riuscendo a rispondere perfettamente alla domanda che si era posto prima di girare il film: «Da dove proviene questo musicista, emotivamente e creativamente?».
Ma dal profondo ventre di Napoli, naturalmente, anche se della parte settentrionale di Marianella, dove un ragazzetto di pochi anni provava a suonare in uno scantinato un sassofono proprio come faceva il suo amico più grande, di nome Ciro. «Devo ringraziare questa terra in cui si suona, il juke-box dove mettevano James Brown e i miei genitori che - anche se non capivano - hanno rispettato i miei desideri e i miei sogni», dice oggi Avitabile. Perché da quei bassifondi, definiti meglio «territori a svantaggio», come in un sogno il musicista incontrerà miti come Miles Davis, Tina Turner, Richie Havens, Randy Crawford, Afrika Bambaataa. Mentre oggi colleziona collaborazioni con artisti di tutto il mondo, dalla Spagna a Cuba, dall'Iran alla Palestina, proprio come viene mostrato nei momenti più intensi e patinati (a differenza di quelli da presa diretta in giro per la città) del documentario di Demme.
Quando la musica, fuor di retorica, sembra veramente diventare uno strumento di unione tra le culture.
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