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Al cineforum Lido viene da ridere per non piangere

nostro inviato a Venezia

'Sti cazzi! Viene da ridere, per non piangere, a seguire la furiosa colluttazione tra due ragazzi nel disperato tentativo di recuperare un fallo appena reciso: uno vuole riappropriarsene, l'altro spera di farlo suo. Siamo a metà di Moebius, del coreano Kim Ki-duk, Leone d'Oro 2012 con il cruento Pietà, entrambi i giovanotti sono castrati e gli eccessi assortiti ancora parecchi, ma una risata è il modo più elementare per difendersi.
È cominciata così, ieri, nella prestigiosa Sala Grande del Palazzo del cinema, la giornata d'essai della Mostra. Una giornata artistica assai, forse fin troppo, proseguita con Ana Arabia dell'israeliano Amos Gitai e Under the Skin dell'inglese Jonathan Glazer, entrambi in concorso. Per un giorno il Lido si è trasformato in un unico, gigantesco cineforum in un'apoteosi di ricercatezze, sofisticherie e psicologismi certamente graditi ai più eruditi fra gli addetti ai lavori. Forse anche al presidente della giuria Bernardo Bertolucci. Ma al termine di una simile full immersion uno spettatore medio, il frequentatore abituale delle sale cinematografiche che, va detto, non è certo un animale da festival, potrebbe decidere di farla finita anche lui andando ad allungare la fila dei suicidi che popolano le opere in gara. Magari così fornendo, in un crudele contrappasso, nuova materia ai più scafati fra i cineasti.
Oggi contiamo di riprenderci con L'intrepido di Gianni Amelio. Ma ieri resistere fino alla fine di Moebius, nonostante Kim Ki-duk abbia inserito alcune scene «per allentare la tensione su un argomento che in Corea è un tabù assoluto», è stata una discreta impresa. Come lo è stata non assopirsi durante la pellicola di Gitai, ottantacinque minuti girati senza tagli e montaggi in un unico piano sequenza. Lento, molto parlato, inevitabilmente approssimativo nella recitazione soprattutto della pur bella Yuval Scharf nel ruolo di una giornalista, Ana Arabia è imperniato sul racconto attraverso una serie di storie della pacifica convivenza tra ebrei e palestinesi in un quartiere vicino a Jaffa. Un film d'essai, perfetto per un dibattito sulla pace in Medio Oriente.
Molto più enigmatico il lavoro di Glazer, con una misteriosa Scarlett Johansson dai folti capelli corvini negli umanissimi panni di un'aliena che adesca uomini a bordo di un furgone. Una volta che si arriva al dunque, però, le sue prede scompaiono lentamente dentro uno specchio d'acqua, il pianeta di lei. Dal quale, rifiutato pure dai marziani, riesce a riemergere solo il più mostruoso e deforme degli esseri sedotti. A questo punto l'aliena si trasforma e Under the Skin migliora senza che, tuttavia, si riesca a comprendere molto. Che voleva significare quella linea stretta di colore rosso che attraversa orizzontalmente per intero tutto lo schermo nero?, si chiedeva qualcuno uscendo dalla sala. E quelle immagini sovrapposte di lei, Scarlett, mischiata ad altre nebbie confuse e cangianti?
Il Lido è un rimbalzare di interrogativi irrisolti, astrusità e contorcimenti psicologici che neanche Freud, Jung e Antonioni messi insieme riuscirebbero a decodificare. «Le parole sono sopravvalutate», diceva un personaggio di Tracks in una delle frasi culto di questa Mostra. E Kim Ki-duk sembra averlo preso alla lettera visto che nel suo film si odono grida e gemiti, ma non una parola che sia una. Anche il pene, però, può essere un tantinello sovrastimato. Nell'inferno di famiglia rappresentato dal regista coreano, la diabolica moglie evira l'unico figlio per vendicarsi degli adulteri del marito. Il quale, sopraffatto dal senso di colpa per ciò che ha indirettamente provocato, si evira a sua volta. Attraverso il dolore, però, si può ugualmente raggiungere l'orgasmo praticando una forma di masochismo. In attesa del perfezionamento delle tecniche di trapianto del pene. Ora quello del padre può essere cucito sul corpo del figlio. Ma gli effetti collaterali sono in agguato.

L'organo genitale rimane inerte davanti alla ragazza di lui, mentre «riconosce» il corpo della moglie-madre. Nell'escalation finale l'incesto davanti agli occhi del marito è inevitabile.
Ma a questo punto, come nei cineforum che si rispettano, nessuno si è permesso di ridere.

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