Cultura e Spettacoli

Comisso, l'arte di narrare in modo del tutto "naturale"

Non ideologico, né "problematico", né "metafisico": ecco, visto da Guido Piovene, uno scrittore puro

Comisso, l'arte di narrare in modo del tutto "naturale"

Giovanni Comisso si distingue dai molti scrittori di oggi la cui opera sembra nata in funzione della critica, anzi ha valore soprattutto, nel panorama generale della cultura, per il discorso critico che si può farvi intorno. Ai critici offre pochi appigli. Non è uno scrittore ideologico, né problematico, non conia né suggerisce quelle formule o slogans che hanno preso tanta importanza da costituire per sé, indipendentemente dalle opere da cui sorgono, la storia della nostra cultura recente. Nemmeno rappresenta in maniera precisa una speciale situazione storica, sociale, o altro; sembra un po' in margine di tutto. Si dice che è «naturale»; viene voglia di fermarsi qui, anche sapendo che quella parola di comodo in questo caso non significa nulla. Molti racconti di Comisso convincono nello stesso modo di una pianta, una nuvola, una persona ben fatta, un bell'animale. Non v'è gran che da aggiungere, dopo averlo riconosciuto. La critica su Comisso perciò è abbondante, consenziente, ma povera di concetti. Comisso è «sensuale», «istintivo», «immediato». Su queste basi lo si ammira, e quasi sempre poi lo si mette in disparte.

Così si è portati a pensare che l'arte di Comisso, dai primi libri a oggi, non abbia sviluppi, ma si ripeta con la stessa costanza, e anche varietà, dei prodotti della natura. Invece ha i suoi sviluppi, i suoi mutamenti marcati, ma sono, appunto, di genere «naturale», non culturale-critico. In quasi tutti gli uomini convivono due tendenze contrastanti tra loro, quella di viaggiare, spaesarsi, fuggire da se stessi e dalle proprie origini, e quella invece di attaccarvisi, di sprofondarvi dentro e di morire nella terra dei padri. Si trovano tutte e due in Comisso, ma, com'è «naturale», la prima predomina in gioventù (avventure diverse, esotismo, «amori d'Oriente»), la seconda dalla maturità in poi (Treviso, «casa di campagna»). Altro sviluppo «naturale»: dall'istinto al sentimento. La chiave si trova nel libro Le mie stagioni, e già il titolo è indicativo: le fasi della vita come stagioni. «Fino allora avevo vissuto istintivamente e considerato il mondo istintivamente... un uomo e un albero per me erano eguali». Credeva soltanto nei sensi, rifiutava di riconoscere qualche cosa di vero altrove. Ma finalmente, aggredito dalla maturità e messo alla prova da una passione, «sentivo che gli istinti non mi reggevano più». Comisso «viveva per un altro essere», soffriva, riformava la sua idea dell'arte, concludeva perfino che il vizio dell'arte moderna è nella sua mancanza di sentimento: «l'arte deve avviarsi verso i sentimenti». Le citazioni sono tratte dall'episodio dell'amore di Comisso per «il fuggitivo», un giovane tristemente morto nella guerra civile, le pagine per me migliori che Comisso abbia scritto nella maturità. Giovinezza, maturità, vecchiaia, sono in Comisso nettamente distinte, come nei quadri antichi dove sono rappresentate le età dell'uomo in tre figure. Si sa, la giovinezza è sensuale ed egoista, mentre gli anni maturi sono più caldi, imparano l'esistenza delle passioni, della schiavitù e del dolore, si aprono alla vita altrui. In Comisso questo mutare di stagioni è reale, trasmesso nella pagina. La sua opera passa davvero da una fase sensuale-egoistica (vagabondaggi, assaggi della vita in ogni sua forma, osservazioni magari acri) a una seconda fase in cui le passioni, il dolore, la tristezza, la malattia scoppiano fuori dall'involucro in cui erano relegate e dicono: siamo qui. Inutile cercare se fosse più sincero il primo Comisso o il secondo. Lo sono tutti e due egualmente. Il calore di dopo è altrettanto sincero dell'aridità di prima; la pagina di Comisso prende di giorno in giorno la reale temperatura della sua vita.

Comisso ha dunque un dono oggi estremamente raro: non si contraffà in nessun caso, non saprebbe nemmeno farlo; si limita ad esistere ed a vedersi esistere. Se cambia, la pagina lo registra, prende subito la nuova tinta; tra Comisso e la pagina, non v'è occlusione né diaframma. Perciò la sua pagina è sempre soffice, respirante, mossa, senza vernice. Un suo concittadino che fu anche mio amico, e che non scrisse nulla, ma era un critico molto acuto, Gino Scarpa, apprezzava Comisso come un caso tipico di vero artista esente da «fumi metafisici» e lo contrapponeva all'ala più chiassosa della letteratura d'oggi. E nessun scrittore italiano corrisponde di più a un'idea dell'artista come quella di Croce, specialmente della prima Estetica; ma non sempre Croce era pronto nel riconoscere i suoi figli. Nella pagina di Comisso, quando fa centro, vi è la classicità, la grecità dell'oggetto che esiste nella sua compiutezza, chiaro ed insieme misterioso; ma senza il minimo elemento neoclassico.

Pochi scrittori sono più refrattari a una qualsiasi architettura.

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