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Così i nazisti sottrassero l'oro della Banca d'Italia

Matteo Sacchi

Con l'8 settembre l'Italia precipitò in una situazione di caos enorme. Ci andò di mezzo anche la riserva aurea della Banca d'Italia. Un quantitativo enorme di ricchezza che nessuno fu capace di salvare dalle rapaci mani dei nazisti: per la precisione 119.252 chilogrammi d'oro. La storia ha dell'incredibile e i contorni della vicenda non sono mai stati chiariti del tutto. Già nel 1941 Mussolini aveva pensato di far trasferire le nostre riserve a L'Aquila. I lavori per creare le necessarie strutture blindate, però, procedettero enormemente a rilento. Nella primavera del '43 il problema divenne ancora più pressante e si stava pensando a un qualche luogo nel nord Italia, anche l'Aquila iniziava ad apparire come troppo vulnerabile. Poi la caduta del regime, il 25 luglio, congelò qualunque piano. Anche se, a quanto pare, il governo Badoglio tornò rapidamente a porsi il problema.

E qui cominciano i misteri e i rimpalli di responsabilità. Badoglio sicuramente disse al governatore della Banca, Vincenzo Azzolini, di organizzare un trasporto blindato dell'oro verso nord in località sicura e vicina alla Svizzera (per poter spostare l'oro oltre confine?). Azzolini sostenne a più riprese di aver girato l'incarico organizzativo al direttore generale Giovanni Acanfora. Nei processi seguiti al Conflitto Acanfora negò di aver ricevuto qualunque delega. Sta di fatto che le 119 tonnellate rimasero a Roma in via Nazionale. Così quando la città cadde il loro destino fu segnato.

La storia di come l'oro prese la strada della Germania e di quanto fu difficile per l'Italia recuperarne almeno una parte (circa 2/3) è raccontato nel saggio scritto da Sergio Cardarelli e Renata Martano I nazisti e l'oro della Banca d'Italia. Sottrazione e recupero (1943-1958) che pubblichiamo da oggi nella collana Hitler e il Terzo Reich (euro 9,90 più il prezzo del quotidiano).

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