Le "cyclopiche" imprese di Impregilo, la foto dell'Italia

Le "cyclopiche" imprese di Impregilo, la foto dell'Italia

Abituati come siamo a una fotografia sempre più liquida e instantanea, che trova fugace vetrina sui social, visitare Cyclopica. The human side of infrastructure, alla Triennale di Milano (fino al 3 giugno) fa impressione. Non solo per l'allestimento - gigantografie su quinte teatrali possenti, suddivise tra cinque sale e una sezione multimediale - quanto per l'argomento della mostra: attingendo all'enorme archivio aziendale del Gruppo Salini Impregilo, la nota azienda di costruzioni specializzata in infrastrutture complesse celebra sì la sua storia di successi, ma anche l'epica del lavoro materiale e dell'ingegno dell'uomo. Ci troviamo così davanti a un racconto fotografico che, dai primi del '900 in Italia e poi in anni più recenti in mezzo mondo, Cina e Zimbabwe compresi, si muove tra cantieri, macchinari industriali, ruspe, cavi, dighe, ponti, autostrade, tunnel, ferrovie, edifici. Comincia in b/n e procede a colori, accostando volti, mani e corpi dei tanti operai impiegati nei cantieri alle opere ciclopiche che andavano realizzando. A celebrare l'epos delle giga-costruzioni che nascono con l'ambizione di cambiare il mondo, Salini Impregilo ha ingaggiato fotografi come Antonio Paoletti, Guglielmo Chiolini o, tra i più efficaci degli ultimi anni, Edoardo Montaina, che ha immortalato i lavori per l'ampliamento del canale di Panama: con un carousel di diapositive e video (compreso uno girato da Ermanno Olmi), la «fotografia di cantiere» ci seduce anche se siamo a digiuno di ingegneria delle costruzioni.

La mostra in Triennale è figlia di Cyclopica (Rizzoli, pagg.

192, euro 70), un raffinato viaggio per immagini, impreziosito dai testi di Stefano Cingolani e Marina Itolli: il volume si concentra sulla fotografia storica industriale, con particolare attenzione ai lavori tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta realizzati da Salini Impregilo. Viste coi nostri occhi contemporanei, le costruzioni immortalate paiono ciclopi che si nutrono di vita propria, visioni distopiche di un passato che pare ispirato dal futuro.

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