È scomparso il 17 gennaio scorso nella sua città natale, il filosofo bresciano Emanuele Severino, che avrebbe compiuto 91 anni il 26 febbraio prossimo. Per sua volontà, l'annuncio è stato dato soltanto ieri, a cremazione avvenuta. Un'esistenza spesa al servizio di un pensiero fondamentale, quella di Severino: la morte non esiste e il divenire semplicemente non è. Pensiero, o meglio negazione radicale, che lo ha messo in conflitto con la Chiesa cattolica al punto da farlo diventare imputato in un processo istruito dall'ex Santo Uffizio nel 1968, quattro anni dopo la pubblicazione di uno dei suoi testi fondamentali, l'articolo/saggio Ritornare a Parmenide (poi in Essenza del nichilismo, Adelphi). Il processo dichiarò alla fine la sua filosofia - oggi considerata il frutto delle riflessioni di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, forse il più noto filosofo italiano incompatibile con il cristianesimo.
Divenuto famoso soprattutto per i suoi studi sull'ontologia, la «filosofia dell'essere» che abbiamo ereditato direttamente dalla Grecia antica, negli ultimi anni Severino si era applicato con energia anche a compilazioni più divulgative su temi inerenti la contemporaneità, come sistema economico globale, capitalismo, politica, fede cristiana. Una eredità che lascia in dono grandi aperture ed esplorazioni possibili, ideale prosecuzione della sua vita di professore, esercitata in diverse università italiane, tra cui Ca' Foscari a Venezia e l'Università San Raffaele a Milano, ma anche la Cattolica, in cui, dopo la laurea a Pavia, insegnò dal 1954 al 1969 e da cui fu allontanato appunto in seguito all'insanabile opposizione tra le sue idee e il cristianesimo, opposizione ben narrata nel libro autobiografico Il mio scontro con la Chiesa (Rizzoli).
Ma fin dal suo primo libro, La struttura originaria (Adelphi), scritto a soli 29 anni, e nelle sue lectio e incontri pubblici, sempre condotti con verve da affascinante oratore, il fuoco del suo pensiero emergeva, presto o tardi, senza eccezioni: la morte che ci attende sarà «gioia», diceva, perché «superamento di ogni contraddizione». Convinzione che lo connetteva, oltre che a Parmenide, a Eraclito, Nietzsche, Hegel. Tutto è eterno, secondo il pensiero di Severino, e dunque «follia estrema» è pensare che tutto vada verso il nulla, come afferma la corrente nichilista che, secondo il filosofo, domina tuttora l'Occidente e lo conduce verso il baratro del dolore e della morte.
Saggista straordinario, Severino approfondì anche il pensiero di giganti della tragedia e della letteratura come Eschilo e Leopardi, in volumi come Il giogo (Adelphi) e Cosa arcana e stupenda (Bur); si dedicò con fervore a studiare sviluppo e potere della tecnica, espressione massima del potere in un uomo che «vuole volere» e fino al suo ultimo libro, Testimoniando il destino, percorse la «pianura della verità» certo che la ricerca filosofica possa contribuire a creare un linguaggio che dia il senso dell'essere uomo.
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