Il calendario conta. Lo capirono da subito anche i rivoluzionari francesi che ci misero le mani per creare un calendario nuovo, nazionale e laico. L'idea non attecchì: settembre è settembre, non fruttidoro o vendemmiaio. Però è importante per una nazione avere ricorrenze proprie, staccate da quelle religiose. Quello che potremmo chiamare un Calendario civile insomma. Esattamente così si intitola, Calendario civile (pagg. 316, 20 euro), il libro appena edito da Donzelli e presentato ieri a Roma. Il volume curato da Alessandro Portelli e contenente interventi di molti storici e intellettuali palesa la sua ratio sin dal sottotitolo: «Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani».
Sin dall'introduzione Portelli, uno degli storici più attenti alla narrazione orale, sottolinea come certi anniversari tengano viva la storia e non debbano essere feste ma momenti di rottura: «L'intenzione del progetto Calendario civile è piuttosto quella di intensificare il tempo e ribadire il senso delle regole condivise che rendono possibile la convivenza di diversità che costituisce la democrazia, non solo in quel giorno ma - come ricordano le donne a proposito dell'8 marzo - tutto l'anno». E Portelli è anche solerte nel sottolineare che le date possono essere anche date di rottura: «Il calendario civile non ricostruisce la comunità come entità mistica e indifferenziata ma come luogo di differenze». Tutti propositi interessanti, portati avanti in un progetto sempre argomentato. Però si tratta di un progetto complicato e sul risultato è giusto discutere.
Esistono delle date, che compaiono in questo libro - che copre un lasso temporale che va dal risorgimento ai giorni nostri- che sono difficilmente opinabili. In se stesse e anche per il riverbero che hanno avuto nella Storia a seguire. Per citarne qualcuna: Il 25 aprile, l'8 settembre o il 4 novembre data della vittoria della Prima guerra mondiale. Ce ne sono altre che sono ricorrenze codificate come la Giornata della memoria e il Giorno del ricordo. Oppure più banalmente il Primo maggio (la data è legata ad una rivolta di Chicago del 1886). Sono iscritte nel calendario e hanno ovviamente un senso civile molto forte. Troppo recente per avercelo la Giornata in memoria delle vittime dell'immigrazione. Ma fa capolino lo stesso, forse come auspicio... Altre date sono decisamente più discutibili. E anche alcune mancanze possono far pensare. Innanzi tutto le date ottocentesche sono solo due. La proclamazione della Repubblica Romana del 9 febbraio 1849 e la Breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870. Nessuno nega l'importanza dei due fatti, soprattutto del secondo. Ma le giornate civili importanti dell'Ottocento italiano sono tutte qui? E per forza anticlericali e romanocentriche? Le spontanee Cinque giornate di Milano? Niente. O almeno non avrebbe almeno pari senso segnalare il 4 marzo 1848, data in cui fu promulgato lo Statuto albertino? Piaccia o non piaccia il modello costituzionale italiano è stato segnato da quello Statuto e non dalla effimera esperienza mazziniana di Roma. E anche a voler essere, e in buona parte il volume lo è, sbilanciati a sinistra: ha davvero senso segnalare come data civile il 1° settembre 1920 e l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai metallurgici? Non hanno più peso i quattro giorni di rivolta operaia del 6-9 maggio 1898 sempre a Milano? Bava Beccaris sparò con i cannoni contro i manifestanti...
Poi se si parla di date che contano bisogna anche avere il coraggio di descriverle per quello che sono. Nel libro il 4 novembre (voce a cura di Quinto Antonelli) è solo la fine della Prima guerra mondiale. No, all'origine era la giornata della Vittoria in quella guerra. E anche col senno del poi che ha portato a smorzare i toni resta «Giorno dell'Unità Nazionale, Giornata delle Forze Armate». Piaccia o non piaccia la Guerra mondiale è stata anche la nostra quarta guerra d'indipendenza. Che il curatore della voce lo racconti tutto in un controcanto anti-militarista è una scelta. Ma che sia la scelta adatta a un calendario della Nazione... Questo per tacere del fatto che si possa inserire in un calendario civile, con voce tutta di parte, il 21 luglio come data dei Fatti del G8 di Genova o affidare la voce su Piazza Fontana a Gad Lerner...
Insomma segnarsi sul calendario le date fondamentali della storia italiana (e non solo) è una bella cosa ma non è cosi facile da fare e non si può fare solo con la penna rossa. Ne può bastare a fare equilibrio la voce sul Giorno del ricordo a cura di Raoul Pupo.
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