La democrazia? È la maschera delle nuove élite

Luca Negri

Da anni in Occidente e in particolar modo in Italia va la polemica anticasta. I vari populismi trovano eccome motivi di battaglia contro le aristocrazie che oggi reggono il mondo. Viene però da chiedersi se non sia sempre stato così, una questione generazionale, di lotta e successione nella gestione del potere. La storia è forse un «cimitero di aristocrazie», come sentenziò Gaetano Mosca, politologo siciliano convintamente antifascista ma elitista. E la democrazia? Solo uno strumento adatto ai tempi per l'imporsi di una nuova casta, che deve fare l'anticasta in campagna elettorale. E l'uguaglianza, la promessa francese? Forse la più smentita delle tre, la più utopistica. Per nulla egualitari e democratici appaiono infatti i quattro campioni del pensiero politico del Novecento antologizzati in Élites. Le illusioni della democrazia (Gog edizioni, introdotto e curato da Lorenzo Vitelli, pagg. 136, euro 13): Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Roberto Michels e Antonio Gramsci. Non stupisca la presenza del fondatore del Partito comunista italiano, che da buon marxista leninista credeva in una nuova aristocrazia, avanguardia del proletariato, per forza di cose non tanto proletaria. Ma le pagine antologizzate sulla «egemonia» sono lucidissime: «Le idee e le opinioni non nascono spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di formazione, di irradiazione, di diffusione, di persuasione».

Una certa fantascienza ci arriverà più tardi a lavorare su cose del genere. Gramsci dal carcere, con realismo eroico, affermava che un partito, conservatore o progressista che sia, necessita di capo carismatico, di un Cesare. Anche Gaetano Mosca tirava in ballo i guerrieri, i pionieri dell'istinto oligarchico, a cui contadini e sacerdoti chiedevano protezione. Il liberista Pareto è noto anche per esser stato maestro del Benito Mussolini socialista in esilio in Svizzera ai primi del secolo. Insegnava che la storia è continua creazione di élites, continua selezione di concorrenti. Si combatte tuonando valori e soluzioni universali, ma sempre partigiane, interessate, con lo scopo di strappare il potere alle élites precedenti. E si tratta sempre di parricidi, dato che «quasi tutte le rivoluzioni hanno avuto per capi dei membri dissidenti di un'élite».

Le aristocrazie non durano, vengono abbattute con rivoluzioni capitanate dai fuoriusciti da tali decadenti aristocrazie. Tutto il fascismo e la guerra civile col suo lascito sembrano confermare le vedute di Pareto, che morì poco dopo la presa del potere del Duce. Di Mussolini si fidò anche Roberto Michels, docente di economia a Torino. Vedeva «immanente presenza di tratti oligarchici in ogni aggregato umano» e sfiorava forse la magia scrivendo che «rappresentare significa spacciare la volontà di un singolo per volontà d'una massa». I duci son secondo lui «indispensabili».

In questa utile antologia è forse futile cercare analogie con la politica odierna, poiché, come ricorda Vitelli nell'efficace introduzione, siamo nell'era degli imperativi di mercato, non della politica. Al potere c'è un altro livello di terziario: manageriale, astratto, globalizzato, in allarme per le future aristocrazie.

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