Coronavirus

Difendere la salute o il lavoro? I dubbi di Habermas sul Covid

Il filosofo (insieme a molti intellettuali) rivendica i diritti fondamentali contro le chiusure degli Stati colpiti dal virus

Difendere la salute o il lavoro? I dubbi di Habermas sul Covid

Le prime manifestazioni di piazza contro le limitazioni dei diritti individuali, tra cui quello alla libertà di movimento, sono iniziate in Germania il 25 aprile: un centinaio di persone a Rosa-Luxemburg-Platz, a Berlino, ma da quel momento si è diffusa una rivolta pacifica che da un paio di settimane era stato alimentato con interrogativi sulla legittimità del lockdown e richieste di allentamento sollevati da più parti, non solo negli ambienti anarchici o anti-sistema. Il risultato, in buona misura censurato in Italia, è che le manifestazioni di piazza in Germania, presenti migliaia di persone di tutte le estrazioni al grido «Wir sind das Volk» («Siamo noi il popolo», evocante la «rivoluzione pacifica» che fece crollare il Muro di Berlino nel 1989), da allora si sono moltiplicate in molte città: Stoccarda, Francoforte, Monaco...

A conferma che il «sistema Germania», con il suo federalismo sostanziale e con una reale autonomia dei poteri, piaccia o no, funziona, lo dimostra il fatto che il dibattito intorno ai diritti in gioco al tempo del Covid-19 sia partito da un organismo statale, il Deutsche Ethikrat, il Consiglio etico tedesco, che in un documento presentato il 7 aprile riconosceva che «le misure adottate hanno già ora inevitabili effetti collaterali per la situazione economica e psicosociale», indicando il «conflitto etico» che si pone nella gestione dell'attuale crisi sanitaria: «Va certamente assicurato un sistema sanitario permanente di alta qualità ed efficiente, ma dall'altro vanno scongiurati o mitigati per la popolazione e per la società i gravi effetti collaterali causati dalle misure prese».

Il lucido ultranovantenne Jürgen Habermas non ha fatto attendere il suo contributo. Una prima volta il 10 aprile, commentando in un'intervista alla Frankfurter Rundschau «l'insicurezza esistenziale che si sta diffondendo a livello globale e nelle menti degli individui collegati in rete»: «l'insicurezza riguarda non solo la gestione dei pericoli legati all'epidemia - ha detto il sociologo e filosofo - ma anche le conseguenze economico-sociali imprevedibili». Habermas ha poi chiamato in causa i politici di «alcuni Paesi» e loro scelte: «Hanno orientato le loro strategie sul principio che lo sforzo dello Stato per la salvezza di ogni singola vita umana debba avere assoluta precedenza rispetto all'utilitaristica messa in conto di costi economici indesiderati che il perseguimento di quell'obiettivo potrà avere come conseguenza».

A detta dei sondaggi, a metà aprile, la maggioranza dei tedeschi condivideva le scelte di limitazione delle libertà, ma le voci invocanti un ripensamento e una rapida interruzione del lockdown si sono fatte sempre più frequenti: «La paura mangia la democrazia», così Jakob Augstein, giornalista e coproprietario del gruppo Spiegel, mentre l'avvocato-scrittrice Juli Zeh definiva «tattiche punitive» quelle scelte dallo Stato tedesco, sul modello italiano. Da parte dei critici si è alzata più forte la lamentala per l'assenza di dibattito pubblico sulle misure da adottare per limitare la pandemia.

Preso atto della complessità della situazione (poiché non c'è diritto fondamentale che possa essere considerato isolatamente, senza tener conto degli altri), l'esperto di diritto pubblico Jörn Axel Kämmerer ha scritto: «La Corte Costituzionale Federale una volta ha definito il diritto alla vita come un valore di massimo livello. Ma ciò non significa che il diritto alla vita abbia sempre la precedenza. Si è anche detto che la vita è più importante dell'economia, tanto da dover esserle anteposta. Ma dietro l'economia si nascondono molti altri diritti fondamentali, finendo per ripresentarsi anche nella vita, condizionandola».

A seguire, il 24 aprile, un appello apparso su Der Spiegel e firmato da sei autorevoli personalità riaccende il dibattito: Alexander Kekulé (virologo), Julian Nida-Rümelin (filosofo), Boris Palmer (sindaco di Tubinga), Christoph M. Schmidt e Thomas Straubhaar (economisti) e la già citata Juli Zeh chiedono «che siano difesi allo stesso modo la salute, l'economia e lo stato di diritto». Due giorni dopo l'ex Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, ora Presidente del Parlamento tedesco (il citato Comitato Etico Tedesco dipende da lui), interviene su Der Tagesspiegel: «Non dobbiamo lasciare le decisioni ai soli virologi, perché in quanto politici dobbiamo valutare anche gli enormi effetti economici, sociali, psicologici. Certo dobbiamo stare attenti, perché il ritorno della pandemia sarebbe terribile. Ma quando sento che tutto il resto deve venire dopo la protezione della vita, devo dire che non è corretto affermare ciò con assolutezza. I diritti fondamentali si limitano l'un l'altro reciprocamente. Se esiste un valore assoluto nella nostra carta costituzionale, questo è la dignità dell'uomo, che è intoccabile, ma non esclude il fatto che noi dobbiamo morire. Lo Stato deve garantire la migliore assistenza sanitaria possibile a tutti, tuttavia le persone continueranno a morire anche di Corona».

Una posizione che lo stesso Habermas, tornando sul tema il 6 maggio su Die Zeit, ha in buona parte fatto propria.

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