«Do il volto a Tortora: quell'ingiustizia non sia dimenticata» l'intervista »

«Do il volto a Tortora: quell'ingiustizia non sia dimenticata» l'intervista »

Domenica e lunedì Raiuno trasmette una fiction, diretta e interpretata da Ricky Tognazzi, sulla vita di Enzo Tortora, che ha vissuto forse una delle più grandi ingiustizie da parte della magistratura di questo dopoguerra, un caso anche ancora oggi non si dimentica e che ha distrutto un uomo che fino a quel momento era un monumento della nostra televisione con una carriera straordinaria e specchiata, che si era guadagnata sul campo, innovando, inventando, conquistando un pubblico vastissimo e mettendo le basi di quella che sarebbe stata la televisione di oggi. Ma la carriera di Tortora si fermò il 17 giugno 1983 con un arresto per associazione per delinquere di stampo camorristico da parte della Procura di Napoli, accusato da 11 pentiti in cerca di sconti di pena o di altro. Per raccontare la sua storia Raiuno ha chiamato Tognazzi che lo interpreta con una prova d'attore che lo ha trasformato anche da un punto di vista fisico e che ne ha curato anche la regia.
Tognazzi, quando Tortora, il 20 febbraio del 1987, tornò in video a Portobello disse: «Dunque, dove eravamo rimasti?... Io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi».
«Ed io ho voluto usare proprio quelle prime parole per il titolo della mia fiction, che si chiama appunto Il caso Enzo Tortora – Dove eravamo rimasti?. Tortora è stato assolto con formula piena nel 1986 dalla corte d'Appello di Napoli e nel 1988 in modo definitivo dalla Cassazione, ma morì in quello stesso anno per un tumore che molti sono certi sia stato causato da quel supplizio. Per la sua morte nessuno ha pagato».
Però non si può e non si deve dimenticare, non solo per Tortora, ma, come sottolineava lui stesso, per tutte quelle persone che hanno subito un'ingiustizia.
«L'oblio è una cosa molto pericolosa. Quando mi hanno offerto di portare in scena la sua storia mi sono reso conto che ci si ricordava ben poco di quello che gli era successo. Mi rendo conto che la sua memoria è stata anche sfregiata: è morto libero, è morto totalmente innocente, ma esistono persone che non se ne ricordano bene».
Lei era un ragazzo allora, ma suo padre Ugo Tognazzi conosceva Tortora. Lo ha mai incontrato?
«Io non l'ho mai conosciuto, mio padre lo aveva invece incontrato, come accade tra artisti. Però in casa eravamo tutti suoi telespettatori: mi ricordo quei venerdì sera passati con papà, nel nostro casale a Velletri. Era la serata di Portobello, si commentavano le storie che Tortora presentava».
Quel programma ha segnato la storia della tv, ancora oggi ci sono trasmissioni che vivono partendo da quelle idee.
«Portobello è stato un po' la madre di tutte le trasmissioni degli ultimi vent'anni da Carramba a Stranamore a Chi l'ha visto, era una trasmissione fantastica, ha segnato la nostra tv».
Con suo padre Ugo e la sua famiglia commentaste il suo arresto?
«Certo. Quando fu arrestato per me, la mia famiglia, per mio padre Ugo fu uno shock, noi tutti, papà in testa, eravamo sbigottivi, soprattutto per il comportamento dei media, dei giornali che gli erano saltati addosso con una violenza mai vista, con una condanna, un pregiudizio senza appello».
Tortora pagò anche per la sua dignità di fronte ai giudici: non chiedeva pietà, ma urlava la sua innocenza. «Io grido: “Sono innocente”», disse in aula, «Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi». La sua dignità fu vissuta da certi come antipatia.
«Tortora non aveva bisogno di dover essere simpatico e anche questo divenne per lui una colpa. Per molti dietro si celava un mostro, uno spacciatore di droga, di armi, un camorrista affiliato con il rito del sangue al Clan di Cutolo, tutto assurdo».
Eppure lo condannarono in primo grado a dieci anni.
«Accuse avvalorate solo dalla sua innocenza, accusato da persone spaventose, senza uno straccio di prova».
Una di quelle persone era Gianni Melluso, detto «Gianni il bello», che un paio d'anni fa chiese anche scusa alle figlie di Tortora. Melluso è stato anche arrestato per sfruttamento della prostituzione.
«Vi redente conto? Tortora andò in galera per colpa di persone del genere, forse per l'inesperienza dei giudici a trattare con i pentiti, del resto è stato il primo caso di pentitismo in Italia, a parte quello di Buscetta».


Per la fiction lei si è bastato sul libro di Anna Tortora, sorella storico di Enzo, ha parlato anche con la sua ultima compagna Francesca Scopelliti?
«Si ho parlato a lungo con lei, una donna di grande carattere, molto forte, ha avuto la grazia e la generosità di rimanere a fianco di lui fino alla fine, rimanendo nell'ombra».


Ricky Tognazzi

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