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Il docufilm (censurato) sulle ultime ore del Duce

"Tragica Alba a Dongo" fu girato nel 1950 con testimoni diretti. E bloccato più volte

Il docufilm (censurato) sulle ultime ore del Duce

Si pensava che fosse ormai perduto, un documentario semi-amatoriale inedito, una testimonianza sulle ultime ore di Benito Mussolini e Claretta Petacci. Ieri Tragica Alba a Dongo è stato presentato al Torino Film Festival, recuperato e completamente restaurato: un cortometraggio di 38 minuti, girato da Vittorio Crucillà nel 1950, che è dedicato proprio alla fine del Duce, agli ultimi momenti sul lago di Como fra il 27 e il 28 aprile del 1945. Il documentario di Crucillà fu fermato dalla censura più volte: «Fu Andreotti a bloccarne la distribuzione, e a più riprese: nel 1950, nel 1953 e ancora negli anni '60» ha spiegato il direttore del Museo nazionale del Cinema di Torino Antonio Barbera. La motivazione, ogni volta, era la stessa: «C'è il rischio di danneggiare moralmente l'immagine del Paese».Perciò gli italiani non hanno mai potuto vedere questo cortometraggio in bianco e nero, che ricostruisce «artigianalmente» gli ultimi episodi della vita di Mussolini, attraverso riprese nei luoghi reali e attori non professionisti: alcuni testimoni degli eventi; altri sono gli stessi partigiani che bloccarono il convoglio tedesco che trasportava il Duce; poi i coniugi Di Maria, proprietari del casolare in cui Mussolini e la Petacci furono rinchiusi prima della morte. Immagini (incluse quelle della fucilazione) che la censura ha considerato, per anni, troppo forti; perfino il comune di Dongo si era opposto alla distribuzione del cortometraggio, per non essere accusato di «efferatezza».

Insomma Crucillà, che era un giornalista e non un regista, era riuscito a scontentare tutti: «Il suo intento era raccontare un fatto su cui il governo italiano non amava soffermarsi - ha aggiunto lo storico Giovanni De Luna - Anche la famiglia di Mussolini si era opposta».

Dato ormai per perso, il «docufilm» di Crucillà è stato ritrovato in una cantina austriaca di proprietà della famiglia Paternò di Pinerolo e poi restaurato dal Museo nazionale del cinema di Torino, presso il laboratorio L'Immagine ritrovata di Bologna.RS

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