C'è ancora qualcosa da dire su Bruce Springsteen? Sì. David Remnick, direttore del New Yorker, pubblica in Italia We Are Alive (Feltrinelli), un bellissimo reportage ricco di retroscena inediti, di confessioni toccanti e di aneddoti gustosi. Liquidiamo subito la noiosa questione dell'appartenenza politica del Boss, che pure è un aspetto (non centrale) del libro. Per Remnick, Springsteen rinnova la tradizione musicale progressista. L'introduzione di Leonardo Colombati sottolinea invece come il progressismo sia inconciliabile col «pessimismo cosmico» del canzoniere del Boss. Quanto alle accuse ricorrenti di essere un miliardario ipocrita, che canta di operai senza averne mai incontrato uno, risponde il diretto interessato, che viene da una famiglia modesta e ha pure fatto la fame in gioventù. Springsteen: «Gli scrittori scrivono del mondo che li circonda... Scorsese ha fatto un film sul Dalai Lama e non è certo cresciuto in Tibet». Remnick ha seguito la preparazione del Wrecking Ball Tour, tuttora in corso e transitato con successo in Italia. Ecco un riassunto di ciò che ha visto.
SOLDI I dischi vendono poco, inclusi quelli di Springsteen. Wrecking Ball è partito al primo posto negli Usa ma presto è precipitato fuori dalla classifica. Il Boss resta però una macchina da soldi in virtù del suo status di live performer. Il tour è una sorta di azienda (con mensa, appunto, aziendale) itinerante. Per questo non si scherza. Banditi i divertimenti tipici delle rockstar come drogarsi, rimorchiare groupie o distruggere le suite degli alberghi lanciando televisori dal quarto piano. Ordine e disciplina, ci sono in ballo troppi dobloni. La biglietteria parla chiaro: Springsteen funziona meglio in Europa, dove ogni concerto è sold out, rispetto agli States, dove riempie gli stadi della sola East Coast.
TEATRO In concerto Springsteen non lascia alcuno spazio all'improvvisazione. Battute, posture e gesti «spontanei» sono provati e riprovati. Bruce: «È tutto teatro, capisci? Io sono un perfomer molto teatrale». Per terra, sul palco, una scritta ricorda al Boss il nome della città in cui si sta esibendo. In questo modo, può riadattare senza errori i discorsi imparati a memoria e ripetuti ogni sera del tour. Una volta infatti Springsteen continuò ad arringare e salutare la folla: «Salve Ohio!» fino a quando il chitarrista Steve Van Zandt non riuscì a bisbigliargli che in realtà erano in Michigan.
MONARCHIA ASSOLUTA Nel gruppo non vige la democrazia. I musicisti restano dipendenti di Springsteen, anche se sono pagati una fortuna. Capita che alloggino in un albergo di rango inferiore rispetto a quello del capo. A Barcellona, Bruce fa base al «Florida», in collina, con giardino privato e jacuzzi. La band si deve «accontentare» di un cinque stelle sulla spiaggia.
PLAYBACK Metà scaletta dello show viene decisa al momento, anche in base alle richieste del pubblico. Come fanno Bruce e soci a ricordare testi e accordi di centinaia di canzoni? Grazie ai gobbi elettronici «pilotati» dall'ingegnere del suono John Cooper. Un tipo, quest'ultimo, che si lascia andare a confidenze interessanti: «Qui si fa l'ultima vera musica dal vivo rimasta, tranne rarissime eccezioni». L'unico suono artificiale è il rullante di We Take Care of Our Own, impossibile da riprodurre. Altri gruppi, tipo i Coldplay, tanto per non fare nomi, rinforzano il suono con dosi massicce di playback.
ACCIACCHI Elenco di malattie, ferite e tragedie che hanno colpito i membri della E Street Band. Nils Lofgren, chitarre: due operazioni di sostituzione delle anche, spalle distrutte. Max Weinberg, batterista: sopravvissuto a una operazione a cuore aperto, alla chemio per cancro alla prostata, a due interventi (falliti) alla schiena, sette interventi (riusciti) alle mani. Jon Landau, manager: sopravvissuto a un tumore al cervello. Bruce Springsteen: da decenni in cura per depressione clinica. Danny Federici, tastiere, e Clarence Clemons, sax, sono morti. Lofgren: «Il nostro backstage è come una infermeria militare». Con tubetti di antidolorifici, impacchi di ghiaccio e schiere di massaggiatrici.
CANE PAZZO Vini «Mad Dog» Lopez sta alla E Street Band come Pete Best sta ai Beatles. I musicisti del boss sono ricchissimi. A esempio Max Weinberg è proprietario di varie ville nel New Jersey e di alcune tenute in Toscana. Invece Vini Lopez lavora come caddy in un golf club. «Mad Dog», considerato all'unanimità un grande batterista, fu licenziato nel 1974, un attimo prima del successo di massa, perché troppo aggressivo. Chiese a Springsteen una seconda possibilità. Risposta gelida: «Vini, non esistono seconde possibilità». Il boss versa regolarmente a «Mad Dog» i diritti d'autore sulle prime incisioni della band. «Anche se non ne avrebbe l'obbligo» precisa Lopez. Talvolta, quando si esibisce a New York, Springsteen invita Vini a suonare qualche vecchio brano in concerto.
FAMIGLIA Il padre del boss, Doug, è morto nel 1998. Si è riconciliato con il figlio dopo mille incomprensioni. Era bipolare. Springsteen ha detto di non aver mai provato le droghe per timore di far esplodere l'instabilità mentale allignante nella sua famiglia. La più feroce canzone sul tema padre-figlio è stata scritta da Bruce Springsteen, si intitola Adam Raised a Cain. Springsteen: «Il rock è un solo, lungo e imbarazzante grido: Papaaà!. Tutto il suo senso è racchiuso nel rapporto padre-figlio. Sali sul palco per provare qualcosa a qualcuno nel modo più intenso possibile, come per dirgli: Ehi, valevo molte più attenzioni di quante me ne hai date! Hai fatto schifo, grand'uomo!».
FRONTE DEL PALCO Dopo il successo mondiale di Born in the Usa, il Boss cadde nella depressione più nera. Per consumarsi, continuava a fare concerti di quattro ore guidato «dal puro terrore, e dal disgusto e dall'odio di me stesso». Oggi le cose sono migliorate ma forse non sono cambiate: «Per tutti gli artisti, sul palco c'è sempre una forte spinta all'autoannullamento.
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