Dopotutto anche nel 2018 Giorgio Gaber resta così attuale da far sembrare che non se ne sia mai andato. Ieri, in quello che a Milano è stato per decenni il «suo» teatro e che gli verrà intestato presto (ossia il Lirico, che oggi è un cantiere gelato ma rigoglioso) è stato fatto ascoltare un suo brano inedito, Le donne di ora.
Sembra scritto e registrato da poco, da un uomo di un'altra epoca che però guarda quella presente come se fosse qui: «Io sarei il sesso più forte e dovrei farle la corte, ma non ci vuol mica tanto per rendersi conto che fa tutto lei», hanno scritto Gaber e Luporini. «Che paura, che paura specialmente le donne di ora» è il leit motiv di una indagine profonda ma poetica che parte dal «basta guardare la storia per dire che le donne sono state un po' oppresse» per arrivare a concludere che oggi le donne sono «un animale di un'altra natura». Un brano potentissimo e intenso, che Gaber e Luporini hanno composto nei primi mesi del 2002 e poi parzialmente registrato a novembre, circa tre mesi prima che Gaber se ne andasse, proprio il primo gennaio del 2003. Quindi, anche se non sembra, sono quindici anni che non c'è più, un tempo così lungo da far venire a Ivano Fossati, d'accordo con la Fondazione Gaber di Dalia Gaberscik e Paolo Dal Bon, l'idea di togliere la polvere acustica a una parte del repertorio di Gaber.
Dunque, oltre all'inedito Le donne di ora che dà il titolo all'album, ci sono quattordici brani masterizzati e remixati, da Ciao ti dirò del 1958 a L'illogica allegria del 2003, che ora hanno suoni e frequenze in grado di confrontarsi anche con le produzioni attuali. «L'idea - ha spiegato Fossati - mi è venuta facendo lezione a ragazzi ventenni che hanno un'idea altissima di Gaber ma non lo conoscono bene, talvolta frenati dalla poca attualità dei suoni». E così Fossati ha fatto come un restauratore con i quadri del Cinquecento «che sono anneriti e poi tornano nuovi». In effetti, è impressionante e gioioso ascoltare La ballata del Cerutti oppure Le strade di notte immerse in suoni puliti e digitali che però non tolgono la forza creativa delle incisioni originali.
«Il mio obiettivo - ha continuato ancora Fossati - è stato quello di saldare i due Gaber, il primo degli anni Sessanta e poi quello che lentamente arriva al teatro canzone. All'apparenza sono così distanti che qualcuno crede ci siano due distinti Giorgio Gaber».
La missione è riuscita.
E le quindici tracce di Le donne di ora sono un tesoretto ormai alla portata di tutti, anche dei «ragazzini che si fanno ingannare dai suoni e fuggono i brani registrati tanti anni fa». D'altra parte, a dare una mano c'è la immensa e quasi stupefacente attualità di Gaber in brani come Il conformista o Te lo leggo negli occhi e in altri che non sono in questo disco ma potrebbero arrivare in un possibile volume due.
«Sarebbe una meraviglia», ha detto la figlia Dalia, che è presente nella foto di copertina, scattata quando il padre aveva trent'anni. E anche Fossati lo conferma: «Ho già provato a fare la scaletta e ci sono riuscito in un quarto d'ora». Quindi non resta che attendere.
In ogni caso è sorprendente l'incontro al vertice tra il milanese Giorgio Gaber e il genovesissimo Ivano Fossati, ufficialmente ritiratosi dalle scene proprio sei anni fa ma comunque attivo nello studio e nella scrittura di pezzi. «L'ho incontrato per la prima volta nel 1980, quando volevo teatralizzare i miei concerti. Mi disse che era impegnato e di ritornare dopo qualche mese. Poi non se ne fece più nulla, anche se nel tempo sono andato spesso ai suoi concerti e ci siamo incontrati tante altre volte. L'ultima, la più dolorosa, negli studi del programma di Celentano, del quale eravamo entrambi ospiti. Nei camerini parlammo a lungo, lui di lui e io di me, in una bella e intensa chiacchierata. Fu l'ultima».
Ora il più sofisticato dei nostri cantautori e il più libero dei nostri artisti si sono di nuovo idealmente presi per mano in un disco rispettoso ma importante nell'epoca della volatilità a tutti i costi. Questi brani restano impressi nella memoria perché stuzzicano l'attenzione anche di chi è arrivato dopo e si è perso il Gaber pioniere, coraggioso, ironico. «Il suo brano che mi piace di più forse è Chissà dove te ne vai che, insieme Com'è bella la città, traghetta il primo Gaber in quello del teatro canzone». In fondo, come ha spiegato Claudio Ferrante, a lungo collaboratore di Gaber e oggi al vertice di Artist First che distribuisce Le donne di ora, «lui era un artigiano dei concetti».
Ed è un caposcuola cui Milano dedica «Milano per Gaber», una serie di incontri che dal 26 marzo con Graziano Delrio fino al 29 con l'Instant Theatre di Enrico Bertolino, celebreranno senza retorica il re dell'antiretorica, il musicista che ha saputo costruire da solo, sfidando se stesso e le convenzioni, una forma nuova di intrattenimento, divulgazione, polemica, riflessione: il teatro canzone.
Ed è quasi commovente ascoltarlo cantare pochi mesi prima della morte, con la voce appena appena velata dalla stanchezza, il verso «se penso al futuro mi sento un po' giù», oppure sorridere sarcastico mentre canta «io non mi sento di dire che (le donne ndr) ci faranno sparire, certo che da un po' di tempo le vedove allegre sono sempre di
più». Un brano alto e profondo che lui avrebbe pensato, come confermano anche la figlia e Paolo Dal Bon, come singolo di quello che sarebbe stato il suo ultimo album ma che anche oggi, quindici anni dopo, sembra inciso ieri.
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