Cultura e Spettacoli

Il film del weekend: "12 anni schiavo"

Candidata a nove premi Oscar, una pellicola che è un viaggio toccante e realistico nella crudeltà degli uomini e un monito a coltivare sempre la speranza di vincere sulle avversità

Il film del weekend: "12 anni schiavo"

Steve McQueen, quarantaquattrenne londinese già autore dei discussi "Hunger" e "Shame", continua a esplorare il tema della prigionia umana nel suo terzo film, "12 anni schiavo", che, rispetto ai precedenti, ha una regia più tradizionale ed è concepito per diventare un grande classico. Si tratta dell'adattamento cinematografico del libro omonimo e biografico di Solomon Northup, del 1853, che costituisce una delle più autorevoli testimonianze storiche della realtà quotidiana vissuta da chi fu vittima di schiavitù, pratica abietta e immorale risalente a un altro secolo ma che ha lasciato ferite aperte anche in epoca attuale.

Ambientato negli Stati Uniti di metà Ottocento, "12 anni schiavo" poggia quasi interamente sulle spalle di Chiwetel Ejiofor, attore che con naturalezza e intensità si cala nei panni del protagonista, Solomon Northup appunto, un musicista nero istruito, nato e cresciuto libero nello stato di New York. Ingannato da chi credeva amico, Solomon viene drogato e trascinato con la forza in Louisiana, dove è venduto come merce a un ricco proprietario terriero. Inizia in questo modo una discesa all'inferno lunga dodici anni in cui l'uomo, pur strappato alla sua famiglia e spogliato della sua identità, non si lascerà mai sopraffare dalla disperazione e lotterà ostinatamente per ricongiungersi ai suoi cari.

Con talento, sensibilità e maestria McQueen si incarica di ricordarci, attraverso una terrificante tragedia umana che genera necessario disagio, il valore di una libertà che diamo spesso per scontata. La denuncia delle atrocità compiute in un passato non troppo lontano è esplicita: sono molte le scene in cui si assiste a torture fisiche che macerano i corpi e ad atrocità psicologiche che portano chi ne è vittima a implorare di morire. E' un orrore realistico e brutale funzionale a raccontare l'impatto morale, emotivo e spirituale che la condizione di schiavitù ha su un essere umano. McQueen mantiene un'oggettività implacabile su tanto doloroso e delicato tema, dando la possibilità allo spettatore di trovarsi di fronte ad esperienze ai limiti, come un prolungato tentativo di impiccagione, che vengono servite con lunghi piani sequenza di gelida accuratezza. Siamo chiamati a essere testimoni della disumanità di chi ha nella distruzione della volontà altrui il proprio credo, come il personaggio di Epps, lo schiavista psicotico interpretato da quella che è la presenza fissa dei film di McQueen, ossia Michael Fassbender. Più interessante di lui è il primo padrone di Solomon, Mr. Ford (Benedict Cumberbatch), perché rappresenta nella sua mitezza il latifondista medio del tempo, che ha qualche principio morale ma sempre perdente rispetto agli interessi economici. A lasciare perplessi è invece il ruolo ritagliatosi dal produttore della pellicola, Brad Pitt: quello di un carpentiere di buon cuore che predica l'abolizionismo con didascalica ingenuità e il cui repentino apporto salvifico è reso in maniera poco credibile e forse un po' retorica, in un film in cui neppure la musica si permette di esserlo.

Hans Zimmer, infatti, in quest'occasione compone melodie delicate e in armonia con i suoni e le immagini della natura in cui si svolge la vicenda.

Chi cerca un film dall'impatto impegnativo e che lasci commossi e colpiti, consideri pure imperdibile quest'odissea che è un inno alla perseveranza e alla tenacia umane.
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