Il film del weekend: "Io e te"

Il nuovo film di Bertolucci è una carezza ruvida, fatta da chi conosce dolore e autoisolamento e ci vuole indicare nella condivisione, la riconciliazione con l'esistenza

Il film del weekend: "Io e te"

Ci sono tanti modi per abortire la propria vita. Due di questi sono l'autoisolamento e la dipendenza. Il primo è una via di fuga dal mondo per la paura di ciò che potrebbe essere o per il dolore di ciò che è stato; il secondo è un annebbiamento della coscienza indotto volontariamente al fine di interrompere la sofferenza.

Ebbene, "Io e te", il nuovo film di Bernardo Bertolucci, ha per protagonisti Lorenzo (Jacopo O.Antinori) e Olivia (Sonia Bergamasco), giovani schiavi delle suddette prigionie.

Lorenzo ha quattordici anni e brama di starsene da solo a fare quel che gli va. L'occasione di assecondare la sua indole e scomparire una settimana da tutto e da tutti, arriva quando finge con i genitori di essere in settimana bianca con la scuola e si nasconde invece in cantina con viveri, computer e un formicaio in scatola da osservare con la lente.

Olivia è la sua sorellastra venticinquenne, artistoide e tossicodipendente che vive ad alta velocità e senza regole grazie agli effetti dell'eroina. I due s'incontrano dopo anni proprio nel sotterraneo di casa durante la fuga di Lorenzo. Olivia irrompe nella finta normalità che il ragazzo ha ricostruito in quella specie di appartamento da disperati indigenti e si piazza lì a tentare di disintossicarsi.

In questo microcosmo polveroso e angusto, i due passeranno dalla connivenza all'aiuto reciproco e si libereranno delle proprie catene; forzati dalle circostanze ad affidarsi l'uno all'altro, si rieducheranno ad avere fiducia nella vita e nel mondo.

Bertolucci torna a girare un film a quasi dieci anni di distanza dall'ultima opera, "The Dreamers" e si conferma un grande conoscitore delle pieghe dell'animo umano. Tratto dall'omonimo romanzo di Nicolò Ammaniti e presentato fuori concorso al Festival di Cannes, "Io e te" ha dentro la saggezza di un anziano e la freschezza di un bambino ed è la simbolizzazione della situazione personale vissuta dal regista durante la malattia che lo ha colpito negli ultimi anni e lo ha costretto su una sedia a rotelle. E' un film piccolo, intimista ma potente e senza tempo, perché ritrae le cantine del nostro essere, quelle in cui giacciono impolverati i conflitti irrisolti e le paure, e non manca di mostrare la via d'uscita, la scala per risalire in superficie: la condivisione.

Il regista lavora per sottrazione, si svolge tutto in uno scantinato e principalmente tra due persone.

Eppure ogni cosa, dal formicaio ai cappelli, è messa in quel piccolo spazio a simboleggiare qualcos'altro e aspetta di prendere vita in scena e portare, a chi la saprà cogliere, un suggerimento sul suo reale significato.

Questo non è il miglior film di Bertolucci, ma è davvero buon cinema. Di questi tempi, non è poco.

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