Il film del weekend: "L'uomo d'acciaio"

Un colossal moderno sulla genesi di Superman, dotato di alcuni spunti felici ma mortificato dall'incredibilmente prolissa scena di distruzione finale

Il film del weekend: "L'uomo d'acciaio"

Ormai a Hollywood sembra vigere il diktat che per tentare la corsa agli incassi si debbano decostruire e reinventare le icone dell'immaginario fumettistico mondiale. Stavolta il reboot riguarda Superman. Zack Snyder e Christopher Nolan, l'uno in veste di regista e l'altro di produttore, hanno pensato di attualizzarlo dandogli una grandiosità atta a conquistare il pubblico del ventunesimo secolo. "L'uomo d'acciao" è una pellicola che mira a essere colossale e titanica, riuscendoci. Peccato che non conosca intensità. Una grande avventura non è tale in virtù della presenza di velocità supersoniche ed effetti speciali strabilianti, quanto di una giusta dose di sogno e fascinazione; quella che in questo film resta un po' soffocata.

L'inizio è su Krypton, pianeta in cui si nasce per inseminazione artificiale e con un destino predeterminato legato a specifiche funzioni sociali. Kal è il primo neonato a venire alla luce secondo natura dopo secoli. Suo padre (Russell Crowe) è uno scienziato che, conscio che di lì a poco il loro mondo sarà distrutto, riesce a spedirlo sulla Terra. Qui Kal viene raccolto da una coppia di affettuosi e saggi fattori americani, i Kent (Kevin Costner e Diane Lane), che ne diventano i genitori adottivi e lo crescono dandogli il nome di Clark (Henry Cavill). Le caratteristiche dell'ambiente terrestre donano al ragazzo una forza e delle capacità da superuomo che, su consiglio dei familiari, egli tiene nascoste, vivendo l'infelice scelta di fingersi inerme di fronte alle difficoltà altrui. Quando arriva dallo spazio il terribile generale Zod (Michael Shannon), già abitante di Krypton, con l'obiettivo di porre fine alla razza umana e poi ricreare sul pianeta l'habitat perfetto ad accogliere i superstiti kryptoniani, Clark, forzato dagli eventi, si rivela e si fa difensore dell'umanità, incarnando la speranza in un futuro.

"L'uomo d'acciaio" è un film che ha poco a che fare con il "Superman" del 1978 di Richard Donner, di cui smarrisce l'ingenuità giocosa. Tra le numerose differenze spicca che la colonna sonora firmata da Hans Zimmer non richiami il tema classico e inconfondibile composto all'epoca da John Williams.

Oltre a questioni importanti come quella del libero arbitrio e della diversità, ci sono continui riferimenti alla mistica cristiana; del resto Superman è raccontato come una divinità incarnata, un salvatore. Henry Cavill ha sicuramente la prestanza fisica necessaria al protagonista ed un volto dal giusto candore; meno facile provare simpatia per la pur brava Amy Adams perché il suo personaggio, la giornalista Lois Lane di cui il supereroe si innamorerà, è, almeno sulle prime, tenacemente arrogante.

Privo dell'umorismo in stile Marvel, il film si abbandona all'epicità oscura e tormentata tipicamente nolaniana; ma la verosimiglianza cercata nella trilogia di Batman qui viene meno e il film implode nel finale in un catastrofismo dell'estenuante durata di quarantacinque minuti.

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