Cultura e Spettacoli

Il film del weekend: "Omicidio all'italiana"

Una pellicola superficiale solo in apparenza: diverte con una comicità demenziale ispirata e mai volgare, ma soprattutto dileggia l'abbrutimento di certi costumi

Il film del weekend: "Omicidio all'italiana"

"Omicidio all'italiana" di Maccio Capatonda è una piacevole sorpresa: non capita spesso di imbattersi in commedie italiane in grado di divertire con comicità demenziale e, allo stesso tempo, di denudare i costumi peggiori di una certa Italia a colpi di satira tagliente e precisa.

Acitrullo è uno sperduto paesino di sedici abitanti, nell'entroterra abruzzese, tutto anziani e rovine. Quando una contessa, ivi residente, muore improvvisamente a causa di soffocamento da cibo, al sindaco, Piero Peluria (Maccio Capatonda), viene in mente di sfruttare l'avvenimento fingendo si tratti di un efferato omicidio, in modo da attirare l'attenzione dei media e trasformare la località in un macabro luogo d'interesse.

Il film è giocato su idiozie comiche efficaci e divertenti, talvolta geniali, la cui superficialità è solo apparente e serve a dissimulare una critica pungente e spietata. Si ride in quantità, eppure "Omicidio all'italiana" non è un divertissment fine a se stesso: è risoluto nel riportare sullo schermo contenuti scomodi in cui siamo immersi ogni giorno e a cui siamo ormai assuefatti come fossero normalissimi. Il film mostra una società in cui lo sciacallaggio mediatico è la regola e la differenza tra fiction e cronaca sta ormai scomparendo agli occhi dello spettatore, in cui la giustizia sembra avvenire col televoto e la connessione alla rete internet essere entrata tra i bisogni primari dell'uomo. Tratteggiata in maniera sincera e incisiva, c'è un'intera fauna di esseri umani in via di disumanizzazione: la generazione selfie, una classe politica che non va oltre le frasi fatte, una polizia assetata di popolarità mediatica, giornalisti che si muovono in branchi famelici, turisti dell'orrore. Poco di inventato, molto di attuale, anche se ovviamente parodiato in maniera dissacrante e raccontato con stile eccessivo e surreale.

Sabrina Ferilli è perfetta nei panni della sacerdotessa di una certa tv del dolore, una conduttrice fredda e calcolatrice (personaggio ispirato a una nota criminologa e a una popolare conduttrice).

Capatonda, oltre che regista e interprete, è anche sceneggiatore del film e gli va dato atto di avere avuto un'attenzione inusitata alla scrittura, visto il livello medio delle pellicole nostrane atte a far ridere. Il film è pieno di giochi di parole e il "terronese" sfoggiato dai protagonisti, idioma caratteristico di nessun territorio geografico in particolare, appare trivializzato in maniera mai casuale: c'è una grandissima cura nella scelta, spesso nell'invenzione, di nomi e parole.

E' proprio nel ritorno alle origini, ancorché qui vivificato dall'iperbole comica, che Capatonda indica l'unico possibile rifugio all'odierno abbrutimento, dilagante e globalizzato, dei costumi.

Per coerenza, in un film che mette in guardia sulla trivialità in cui sembriamo purtroppo sempre più sguaiatamente a nostro agio, non c'è traccia di comicità volgare (a parte una battuta su una capra).

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