Il film del weekend: "Troppo amici"

Al cinema un'altra commedia dei due registi di "Quasi Amici"; stavolta su nevrosi, conflitti e problemi della cornice familiare, ritratti con grande ritmo e buona vis comica

Il film del weekend: "Troppo amici"

Due anni prima di firmare la regia dell'ottimo "Quasi amici", Eric Toledano e Olivier Nakache giravano un'altra commedia, con protagonisti tre fratelli e i loro cari, il cui titolo italiano "Troppo amici" non deve trarre in inganno: i due film hanno in comune l'attore Omar Sy e le mani da cui sono diretti, ma le loro trame non si toccano l'un l'altra. Questa appena uscita in Italia, anche se con tanto ritardo rispetto al paese d'origine, è una pellicola dai toni esuberanti, volutamente bizzarri, chiassosi e movimentati; la sua missione è mostrare, pur dissacrandola, l'importanza della famiglia. "Troppo amici" non dà un attimo di tregua e la matassa dei legami tra i coprotagonisti è difficile da riassumere in poche parole.

Alain (Vincent Elbaz) è un ex animatore del Club Med che non fa nulla per trovare un impiego stabile; è sposato a Natalhie (Isabelle Carré), una direttrice di supermarket che gli ha dato due figli di cui uno con grossi problemi comportamentali. Ha due cognati, fratelli di sua moglie, da cui lei è inseparabile: Roxane (Josephine De Meaux), una mezza pazza che pretende di avere un figlio da Bruno (Omar Sy), un medico appena conosciuto che quasi tutti scambiano per infermiere o inserviente perché di colore, e Jean-Pierre (Francois-Xavier Demaison), avvocato squattrinato con, per consorte, una maniaca dell'ordine e dell'educazione dei figli, Catherine (Audrey Dana).

"Troppo amici" intrattiene, non conosce volgarità gratuite e mischia risate e sentimenti conducendo il suo pubblico ad una composta commozione. E' una giostra colorata tra diverse culture, in particolar modo esplora in maniera satirica i luoghi comuni che circolano su pakistani, ebrei e neri.

Ai già numerosi personaggi centrali si vanno a sommare altre figure nel corso della commedia e la sceneggiatura è fitta di situazioni eppure inattaccabile quanto a scorrevolezza; non a caso scriverla ha richiesto ben due anni di lavoro. La tesi del film è semplice e condivisibile: la famiglia, che sia d'origine o acquisita, che la si viva come rifugio o come prigione, è sempre luogo di potenti emozioni a cui è difficile sottrarsi.

L'unico appunto da muovere agli autori, oltre ad un finale un po' retorico, è l'aver forse investito troppo sulla quantità degli stimoli piuttosto che sulla qualità, facendo sembrare quest'opera una sorta di prova generale del film successivo, il ben più empatico, maturo ed emozionante "Quasi amici".

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