Tale e quale, non è cambiato manco un po'. Di solito, dopo aver vinto il Festival di Sanremo da outsider, si cambia look o, più semplicemente, ci si dà un tono più autorevole.
Invece Francesco Gabbani no.
Sorriso sbarazzino, sguardo spaesato, battuta pronta: «Ho intitolato il mio nuovo disco Magellano perché tom tom suonava male» esordisce divertito. In realtà questa è la forza di un trentacinquenne con uno stile che mette d'accordo grandi e piccini e che è arrivato in cima dopo aver pensato di uscire dalla porta di servizio: «Non volevo ritirarmi perché la musica è la mia vita. Ma forse sarei rimasto dietro le quinte come autore», dice presentando questo disco breve ma non piccolo, fatto di nove canzoni perché è un numero cardine della sua vita: Magellano ha 9 lettere e l'anno scorso il mio compleanno è stato il 9 di settembre che è il mese numero nove e, se si sommano i singoli numeri del 2016, pure quelli fanno nove. «E per dirla tutta, anche Francesco ha nove lettere». E non ditegli che ha presentato il disco proprio il 27 aprile, giorno in cui, nel 1521, Magellano è morto sull'Isola di Mactan.
Però, cabala a parte, Magellano, è un disco meno volatile di quanto potrebbe sembrare, con brani come il prossimo singolo Le granite e le granate che, all'apparenza, è molto divertente ma in realtà punta i riflettori su di una mania, quella del divertimento a tutti i costi, che è quasi una epidemia. «Magellano era un navigatore e questo disco è un viaggio alla scoperta dell'ignoto che non è necessariamente intorno a noi ma soprattutto dentro di noi. Ogni brano è una tappa in quello che alla fine è diventato un concept album involontario».
Ad esempio La mia versione dei ricordi si raggomitola intorno alla fine di un amore, trasformandosi in una ballata nella quale la sua voce selvatica e senza impostazioni barocche regge bene l'atmosfera malinconica.
E Pachidermi e pappagalli, con un inserto di tastiere assai vintage, è un'analisi di quella esagerata tendenza al complottismo che ormai avvolge ogni forma di comunicazione (ad esempio, qualcuno diceva che lui non avesse pronto il disco di Sanremo perché non era previsto vincesse. Naturalmente non è così). Quando è arrivato a Sanremo, nessuno puntava su Gabbani. Ne è uscito da trionfatore vero, sia in radio (dove Occidentali's Karma vola alto tuttora) che sui giornali o sul web. Merito del «Buddha in fila indiana», del «panta rei» e di altre invenzioni testuali, certo. Ma anche del gorilla e del balletto che lo hanno accompagnato sul palco, autentico stratagemma che, nell'epoca visual, è quasi indispensabile per il successo trasversale. Era ispirato alla Scimmia nuda di Desmond Morris, celebre etologo quasi novantenne che non si è risparmiato complimentoni al brano. «Quando sono andato a trovarlo, per me è stato come se avessi preso un caffè con Eraclito».
Per capirci, questo carrarese cresciuto a jazz e blues, è un musicista di nuova generazione, ben lontano da ogni aggancio ideologico come conferma parlando della sua apparizione al Concertone del Primo Maggio: «Ci vado perché è uno dei palchi più ambiti, ma non entro in campi politici». All'Eurovision Song Contest (a Kiev dal 9 al 13 maggio) entrerà invece sul palco da favorito e non vorrebbe che «la delusione fosse direttamente proporzionale all'illusione».
Per giocarsi la vittoria, Occidentali's karma ha rinunciato a una strofa ma non alla scimmia portafortuna: «Ci sarà, ma dopo vorrei lasciarla perdere», spiega confermando che, sotto l'aria da monello, c'è la saggezza di chi ha fatto una gavetta lunga così e sa bene che un bel gioco dura poco altrimenti ne diventi schiavo.PG
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