Marcel Proust, in un celebre saggio contro il critico Charles de Sainte-Beuve, s'opponeva a chi andasse a frugare nelle vite degli scrittori (come Sainte-Beuve, appunto). Secondo Gustave Flaubert uno scrittore deve dare alla posterità l'illusione di non essere vissuto. In effetti umanizzare uno scrittore può solo nuocere all'aura dell'opera: immaginate sapere che Dante soffriva di flaulenze, o che Petrarca toccava il didietro alle signorine. James Joyce, e questo è documentato, amava farsi sculacciare dalla sua amata Nora, chiamandola «mammina».
A proposito, uno dei più importanti biografi di Franz Kafka, Reiner Stach, ha pubblicato un volume intitolato Questo è Kafka? (Adelphi, pagg. 360, euro 28) nel quale ha raccolto novantanove reperti biografici per farci conoscere meglio Kafka in persona, ossia per farcelo conoscere peggio (per cui il punto interrogativo del titolo). I materiali, infatti, sono sorprendenti. Come ve lo immaginate Kafka? Serio, grigio, taciturno, timido, insomma kafkiano? Nel materiale messo insieme da Stach di kafkiano c'è poco.
Nel 1910, durante un discorso di Otto Pribam, il presidente della società di assicurazioni dove era impiegato, Kafka gli scoppia a ridere in faccia come un bambino perché lo trova tronfio e buffo, facendo una figuraccia memorabile, da lui raccontata in una lettera a Felice Bauer. Ma non solo. Sempre a Felice, Kafka confessa di aver paura dei topi. Non una paura astratta, non riesce a dormire, sente scricchiolii ovunque, ogni notte è «una notte di topi, un'esperienza terribile. Certo, non mi è successo nulla e i miei capelli non sono più bianchi di ieri, ma è comunque un immenso orrore».
Cosa credete che sognasse Kafka? Di subire un terribile processo senza capire neppure di cosa viene accusato? In realtà un suo sogno a occhi aperti era vincere le Olimpiadi. Il 24 agosto del 1920, scrive: «Tornavo dalle Olimpiadi di Anversa, dove avevo stabilito il record mondiale di nuoto nei 1500 metri». Oppure, nel 1913, si credeva un inventore, e in effetti ci andò vicino, inventando la segreteria telefonica, all'epoca concepibile come una connessione tra il telefono e il dittafono (purtroppo già brevettata).
Tuttavia il 1° aprile 1921, su un prestigioso quotidiano esce una notizia chiaramente falsa (era un pesce d'aprile) secondo cui tal professor F. Wergest avesse trovato un metodo per curare la tubercolosi sfruttando la relatività di Albert Einstein: per guarire si doveva viaggiare sempre verso est (perché sarebbe aumentato il peso della persona, cosa che si riteneva fondamentale per la guarigione). E Kafka? Casca totalmente nella bufala e corre a portare il ritaglio di giornale al suo medico, come un grillino qualsiasi.
Kafka, si sa, sognava anche l'America, e il suo America è forse il romanzo più assoluto sugli Stati Uniti, come se Kafka ci fosse stato. Ma non c'era stato, e di svarioni ne prese parecchi. Per esempio, nel primo paragrafo del racconto Il fochista, la Statua della Libertà ha in mano una spada e non la famosa fiaccola. Altrove colloca perfino San Francisco sulla costa sbagliata.
Inoltre sappiate che l'amata Milena lo chiamava Frank; che Karl Kraus era talmente schifato da lui da chiedere di non voler ricevere sue lettere; che una bambina perse una bambola e Franz corse a casa per scrivere una finta lettera (perduta) dove la bambola diceva di essere partita per un viaggio; che l'11 settembre 1909 assistette a incontro di volo in provincia di Brescia, a Montichiari (dove abita Aldo Busi!); e che un lettore gli scrisse una lettera che inizia così (e stavolta non era un pesce d'aprile): «Egregio signore, Lei mi ha reso infelice. Ho acquistato la Sua Metamorfosi e ne ho fatto dono a mia cugina. Ma lei non riesce a spiegarsi la storia. Mia cugina l'ha data a sua madre, neppure lei è in grado di spiegarla. La madre ha dato il libro all'altra mia cugina e neppure lei sa fornire una spiegazione».
Infine di cosa pensate che parlassero Kafka e il suo fidato amico Max Brod? Di angosciose burocrazie? Di sublimi metafore della condizione umana tipo risvegliarsi sotto forma di scarafaggio? Macché, piuttosto nell'inventare una strepitosa guida turistica con la quale arricchirsi.
«Franz - scrive Brod - era instancabile e provava una gioia infantile nell'elaborare fin nei minimi dettagli i princìpi di questo genere di guida, che avrebbe dovuto farci diventare milionari e soprattutto strapparci all'orrendo lavoro d'ufficio». Insomma, la prossima volta che prendete in mano una Guida Michelin, pensate a quanto sia molto kafkiana.
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