La gente è stufa della politica ma Hollywood ci sguazza

Clooney gira Hack Attack sullo scandalo dell'impero Murdoch e Brad Pitt è protagonista di The Operators sull'Afghanistan

La gente è stufa della politica ma Hollywood ci sguazza

La politica ha schifato mezzo mondo: a nessuno piace farsi manipolare da gruppi e partiti, come conferma il crollo dei talk-show televisivi. Ma a Hollywood è diverso, perché lì le vere storie infami di Washington e gli scandali ben raccontati ancora funzionano, sul grande schermo. A patto che riescano a suscitare discussioni, entrando così nella conversazione nazionale, quindi nella classifica del box-office. Purché se ne parli, insomma. Certo, i beati anni '70 de I tre giorni del Condor di Sidney Pollack, o di Tutti gli uomini del presidente di Alan Pakula, con le loro atmosfere tese e realistiche, sfumano nel ricordo: intanto, sono arrivati Internet e la crisi economica, a rendere il pubblico più esigente. Tanto più che gli ultimi film a sfondo politico, come Nella valle di Elah , Green Zone , Il quinto potere e persino The Hurt Locker , benedetto dall'Oscar, non hanno avuto un gran riscontro, in termini d'incasso. Eppure, una ripresa della tematica politica è in atto, sostiene The Hollywood Reporter , che indica in Zero Dark Thirty, thriller di Kathryn Bigelow sulla cattura di Bin Laden, il toccasana ideale, con i suoi 133 milioni di dollari, rastrellati a livello globale. Ma, soprattutto, il genere di lavoro che spacca l'opinione pubblica e fa discutere, con accuse e controaccuse, che giovarono non poco al successo del film.

Così il neosposo George Clooney fila proprio in questa direzione: da figlio d'un giornalista, il produttore, attore e regista liberale sa quanto appassionino i duelli civili tra Bene e Male. Finiti i fasti di Venezia, lui, che ha sapientemente mescolato giornalismo e politica in Le idi di marzo e The Monuments Men , comincerà a girare Hack Attack , film sullo scandalo delle intercettazioni telefoniche del 2011 in Inghilterra, pilotate dall'impero mediatico di Rupert Murdoch. Uno scossone tremendo, che fece chiudere News of the World , dopo 168 anni di pubblicazione e che ha spedito in galera Rebekah Brown, la «rossa» a capo di quello spionaggio a danno dei Vip. «Ci sono tutti gli elementi: bugie, corruzione, liste nere. E poi c'è la verità, la parte migliore», dice Clooney del suo film, ispirato all'omonimo libro del giornalista Nick Davies, che per 6 anni ha investigato sulla News Corp. di Murdoch.

E un altro giornalista, Michael Hasting, morto lo scorso giugno a 33 anni, ha dato a un altro fascinoso, Brad Pitt, l'idea di produrre e interpretare un film di David Michod sulla guerra in Afghanistan. Si tratta di The Operators , che illuminerà il lato oscuro della guerra Usa in terra afghana, con il marito di Angelina Jolie nel ruolo del recalcitrante Generale Stanley McChrystal, costretto da Barack Obama alle dimissioni, dopo aver criticato la Casa Bianca. E ce n'è pure per la Cia, ritratta in modo poco lusinghiero in Kill the Messenger di Michael Cuesta ( Homeland ), dove un'alleanza nera tra Cia e contrabbandieri di crack fa da sfondo alla storia vera dell'assassinio di un reporter (qui, Jeremy Renner), a conoscenza di quei legami pericolosi. «Sai mantenere un segreto nazionale?» è la frase di lancio del film, che starebbe bene anche sotto i due progetti dedicati a Edward Snowden, l'ex-informatico della Cia, che collaborando col giornalista Glenn Greenwald divulgò i retroscena del Datagate , ovvero lo scandalo riguardante il programma di sorveglianza di massa ideato dai governi americano e britannico. Al lavoro, ecco Oliver Stone, che dopo Le belve torna a occuparsi della storia del suo paese con The Snowden , ispirato all'inchiesta del giornalista Luke Harding. Batte la stessa pista la Sony, con No Place To Hide , tratto dal libro di Greenwald, i cui diritti s'è accaparrata per tempo.

«Il segreto è presentare queste storie non come quelle verdurine che fanno bene, ma che nessuno vuol mangiare» spiega Gigi Pritzker, produttore di Rosewater , drammatico film di Jon Stewart sull'ingiusta detenzione a Teheran del giornalista Maziar Bahari, torturato da un inquisitore detto «acqua di rose». Educare il popolo pare tornato di moda, però niente zucchine lesse: solo verità in salsa spettacolare.

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