da Verbier
Una Davos della musica. Mercoledì, i più grandi solisti del pianeta si sono trovati a Verbier per un concerto di quattro ore. Immaginate un Brandeburghese di Bach eseguito da Leonidas Kavakos, Pinkas Zukerman, Janine Jansens, Lisa Batiashvili, Renaud Capucon, Vilde Frang, Ilya Gringolts, Mischa Maisky, Vadim Repin, Maxim Vengerov, Tabea Zimmermann, Kristóf Baráti, Gérard Caussé. Pezzi da novanta dell'archetto che poi hanno improvvisato sul tema del Tanti auguri nello stile di Beethoven, Schubert o Cajvoskij. E che dire dell'ouverture del Guglielmo Tell di Rossini per quattro pianoforti e 16 mani. Mani non proprio comuni essendo quelle dei pianisti fuoriclasse Daniil Trifonov, Mikhail Pletnev, Andras Schiff, Yuja Wang, Edvegin Kissin, Richard Goode, Seong-Jin Cho. Quindi un gran finale con orchestra - la giovanile di Verbier - , i più grandi solisti degli archi posizionati nelle ultime file e un coro composto dai pianisti top che cantano diretti da Valery Gergiev. Sono quelle cose che capitano una volta nella vita.
Il Festival di Verbier, fondato 25 anni fa da Martin Tson Engstroem, ha festeggiato il quarto di secolo d'attività radunando il meglio dell'interpretazione. Un compleanno importane per la manifestazione dove si fa musica e si studia al cospetto delle cime de «Le Grand Combin». Gli occhi si riempiono di bellezza. È un anno speciale il 2018. Aldilà del compleanno si vuole rompere con un passato non proprio edificante. A Valery Gergiev, il neo direttore musicale, è affidato il compito di far dimenticare i nomi dei due predecessori: James Levine (2000-08) e Charles Dutoit (2009-17), entrambi estromessi dal mondo musicale per scandali sessuali alla Weinstein. Brutta macchia per un Festival che sa far miracoli: riesce a calamitare artisti-leggenda e prodigi d'ultima generazione facendoli suonare in un mega tendone e in chiese asettiche. Verbier è il paradiso dello sport, mancano strutture dove consumare adeguatamente l'arte. Altro ossimoro: dispone di un marketing strepitoso, ma ignora l'abc della comunicazione. Si sa. Gergiev è una forza della natura, oltre ai complessi di coro, orchestra e solisti di San Pietroburgo, amministra tre teatri, serie di festival in Russia e Europa. Dall'alto del suo sistema-Marinskij, mobilita colleghi, capi di Stato, sponsor.
A Verbier, per dire, da tre anni è assai generosa la Neva Foundation del russo Gennady Timchenko, patrimonio di 17 miliardi, nell'entourage di Vladimir Putin. Italia assente su tutti i fronti, ahimè. Nessun mecenate, o almeno di punta, non un artista con l'eccezione della violoncellista Erica Piccotti prescelta per una masteclass. È folta la delegazione di musicisti russi e dell'Europa dell'Est, ben rappresentata Francia e Germania, crescono le quote dell'Asia, un'area dove il talento degli artisti prende il volo grazie a un sistema che mobilita tanti mezzi. Perché è chiaro che il lancio di fenomeni (per la verità da baraccone) come quello della pianista Wang si deve a una Cina che vede e provvede. Un sostegno che in Italia è demandato alla bontà di pochi singoli: vedi il caso di Riccardo Muti e della sua orchestra di formazione. Questa Davos musicale ci ricorda due cose.
I talenti italiani sono sprovvisti di mecenati, case discografiche, agenzie di peso: in una parola, sono soli. Altra lezione. Discrezione e potere economico elvetici sono un efficace analgesico capace di ledere ferite e oscurare nei, anteponendo le luci alle ombre, i pregi ai difetti.
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